24-12-2011
La manovra approvata in Parlamento contiene elementi di forte iniquità rispetto alle imprese dei servizi, e soprattutto in fatto di liberalizzazione.
La manovra approvata in Parlamento contiene elementi di forte iniquità rispetto alle imprese dei servizi, e soprattutto in fatto di liberalizzazione.
Il
settore della distribuzione viene fortemente penalizzato dalla totale
deregulation sugli orari.
Confcommercio
Nazionale ha deciso di promuovere una forte campagna di sensibilizzazione e di
mobilitazione per manifestare la ferma contrarietà a provvedimenti che
incideranno fortemente sulla gestione delle imprese già significativamente
provate dal perdurare della crisi che si sta trasformando rapidamente in
recessione.
Ha pubblicato su vari giornali questa lettera:
TUTTE LE
VERITA’ SULLE LIBERALIZZAZIONI
·
In questi anni la distribuzione ha dimostrato
di essere un settore al passo con i tempi, di evolvere seguendo le
trasformazioni sociali ed i comportamenti d’acquisto dei consumatori,
garantendo una presenza sempre orientata ad un pluralismo distributivo in grado di soddisfare il consumatore, sia
in termini di diffusione, presenza e radicamento sul territorio, che di
formati, tipologia e prezzi di vendita.
E il commercio è certamente il comparto
in cui hanno più fortemente operato i processi di liberalizzazione, a partire
dalla prima riforma Bersani del 1998.
·
Che il settore sia già ampiamente
liberalizzato lo dimostra anche l’ampio turnover di chiusure e di aperture di
decine di migliaia di imprese all’anno.
Nei primi nove mesi del 2011 si sono
registrate oltre 33mila iscrizioni e oltre 46mila cessazioni nella
distribuzione al dettaglio.
Quindi, il ricambio tra imprese del commercio al
dettaglio che aprono e che chiudono è elevatissimo.
·
Da una ricerca che il Cfmt (Centro di
formazione management del terziario) effettua da oltre 15 anni sul mondo dei
servizi emerge che il commercio al dettaglio, sia piccolo che grande, è tra i
settori che ricevono il più alto gradimento da parte delle famiglie, con un
ranking per il 2010 pari a 72 su 100.
Invece, banche e assicurazioni raccolgono
un punteggio di 61. I servizi di pubblica utilità - tra cui energia, gas,
poste, uffici pubblici locali/regionali/nazionali – scendono a 59 e i trasporti
– tra cui i mezzi pubblici urbani e i treni locali - a 58.
Non è, dunque, un
caso che i settori i cui servizi sono meno graditi alle famiglie coincidano con
quelli nei quali, come puntualmente segnala l’Antitrust, esiste ancora un forte
deficit di concorrenza e che andrebbero liberalizzati al più presto.
·
A giugno 2011, nella relazione annuale
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’ex presidente
Catricalà richiamava l’attenzione sulla necessità di recuperare il tempo
perduto, segnalando che “Ferrovie, gestioni autostradali e aeroportuali,
governance bancaria e assicurativa restano i settori sui quali è prioritario
introdurre assetti di mercato realmente competitivi che possano agevolare la
ripresa della crescita”.
E proprio su questo tema anche l’allora governatore
Trichet e l’attuale governatore Draghi nella famosa lettera della Bce di
quest’estate indirizzata al Governo italiano scrivevano della necessità di una
piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e professionali.
·
Il sistema italiano della distribuzione
commerciale, fatto di piccole, medie e grandi imprese che si confrontano in un
mercato pienamente competitivo, assicura oggi ai consumatori livelli di
servizio fra i più elevati in Europa: l’orario di apertura giornaliero può
coprire fino a 13 ore di servizio continuato, nella fascia compresa tra le 7 e
le 22; le aperture nelle giornate domenicali e festive sono mediamente 22
all’anno e, in deroga, le aperture sono sempre possibili nei centri storici,
nelle località turistiche e nelle città d’arte.
·
Se dobbiamo guardare all’Europa, recepiamone
in modo corretto le indicazioni: nessun limite orario giornaliero,
salvaguardando il principio dell’apertura per deroga nelle giornate domenicali
e festive. Come avviene, ad esempio, in Francia ed in Germania.
Si è scelta, invece,
la via della completa deregolamentazione dell’attività anche nelle giornate
domenicali e festive. Ma non lo si fa né in Francia, né in Germania.
·
Il “sempre aperti”, ventiquattro ore al
giorno e 365 giorni all’anno, è una condizione insostenibile. Insostenibile per
le piccole imprese, che saranno strette nella morsa tra la rinuncia al diritto
al riposo e alla vita familiare, da una parte, e la dolorosa rinuncia
all’attività, dall’altra.
Con il rischio, in quest’ultimo caso, di impoverire
la ricchezza del modello italiano di pluralismo distributivo. Non ne
guadagnerebbe la concorrenza, non ne guadagnerebbe la qualità del servizio.
E
il “sempre aperti” è difficilmente sostenibile anche per le grandi imprese:
dovranno fronteggiare, per assicurare una simile tipologia di servizio, costi
crescenti, a partire dal costo del lavoro dipendente.
·
Il senso delle liberalizzazioni dovrebbe
essere quello di rendere migliore la vita dei cittadini; in altri termini di
accrescerne il benessere economico.
A chiunque è chiara l’agenda delle priorità
d’azione, tra le quali certamente non compare l’ennesima “liberalizzazione” di
facciata del settore più concorrenziale che ci sia oggi in Italia , appunto il
commercio.
·
E’ oggi ormai condivisa anche dagli
osservatori più miopi la necessità di affiancare al pilastro delle esportazioni
quello della domanda interna, in particolare dei consumi ormai in recessione.
Le incursioni nel campo della libera iniziativa commerciale non aiutano la
crescita ma accrescono l’incertezza sul futuro e peggiorano le aspettative di
imprese e famiglie.
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