Piccoli negozi al dettaglio in comuni medio-piccoli, nei
centri storici delle città, nelle prime periferie delle città più grandi, i
soggetti a rischio.
Nota
sulle liberalizzazioni (nel commercio). La completa deregolamentazione delle
attività commerciali trascura,
a mio avviso, il tema delle
esternalità positive prodotte dall'esercizio di piccoli negozi al
dettaglio in comuni medio-piccoli, nei centri storici delle città, nelle prime
periferie delle città più grandi.
Se
vi è interesse,
presso una collettività locale, al mantenimento di condizioni elevate di
vivibilità urbana attraverso il consolidamento di un efficace pluralismo
distributivo, una regolamentazione di minima consente di accrescere
per ogni quantità venduta il ricavo marginale del piccolo commerciante al
fine di produrre la quantità ottimale di piccolo commercio, quantità che
contempera anche la produzione di un bene - la buona vivibilità - il cui prezzo non passa da quello
di mercato.
Il valore di questi
benefici potrebbe andare perduto in assenza totale di regole.
L'argomento
della difesa delle esternalità positive spiega poi la chiamata in causa degli
enti locali in materia di commercio. Le preferenze delle collettività locali
sono meglio conosciute dal legislatore più prossimo al suo corpo elettorale.
Quanto
più queste preferenze sono eterogenee tra diverse comunità locali tanto minore
sarebbe il benessere collettivo derivante da una legislazione unica per tutti i
territori. Quest'argomentazione non va però usata per ostacolare, sempre e
comunque, lo sviluppo e la modernizzazione del commercio (queste preferenze si
esprimano con chiarezza).
Chi
sale, chi scende
Sotto
il profilo dell'evidenza empirica, sembra, secondo il Presidente Cobolli Gigli
(Mark Up, n. 206 gennaio-febbraio 2012), non doversi temere, dalla totale
liberalizzazione, alcun effetto di desertificazione, deduzione basata
sull'osservazione del passato.
Scomponendo,
tuttavia, lo stock di imprese al dettaglio in negozi a prevalenza alimentare e
in negozi a prevalenza non alimentare, emerge una crescita degli ultimi e una
sensibile riduzione dei primi, con un travaso abbastanza netto di piccoli
negozi che scompaiono a favore di strutture classificate come distribuzione
moderna o organizzata (tabella accanto).
Potrei
pensare a un effetto delle passate liberalizzazioni differente per grandi
settori di attività economica: negativo per i piccoli dell'alimentare,
generalmente positivo sul non alimentare.
Inefficienze
sistemiche
L'altro
punto problematico è quello riguardante i benefici delle liberalizzazioni. Il
Governo ha di recente fatto riferimento a uno studio della Bce (Christopoulou,
Vermeulen, Bce, 2008) sul markup nei servizi nella comparazione internazionale
tra Paesi.
Un elevato scarto tra prezzo
di vendita e costo implicherebbe un grande potere di mercato e quindi una
scarsa libertà di entrata e uscita: in poche parole, un settore poco
liberalizzato. Emergendo da quello studio una profittabilità molto elevata per
i servizi nel nostro Paese, se ne desumerebbe tanto la scarsa libertà d'impresa
quanto una base per guadagni di efficienza e quindi di crescita macroeconomica
conseguenti a un processo di liberalizzazione dei servizi, tra i quali il
commercio.
Ora, lo stesso studio
chiarisce che le stime dei markup sono viziate per eccesso se i rendimenti di
scala del sistema produttivo sono decrescenti (p. 12), cosa che, secondo stime
della Banca d'Italia e altri studi, potrebbe connotare proprio la nostra economia.
In ipotesi, i benefici
desumibili dalle liberalizzazioni andrebbero acquisiti, invece e soprattutto,
tramite la riduzione di inefficienze sistemiche, in primis riguardanti la
burocrazia e la pubblica amministrazione in genere (proprio perché non riguarderebbero
eccessi di regolamentazione).
di Mariano Bella da MARKUP 208