domenica 23 gennaio 2011

LETTERA SFOGO DI UN COMMESSO

Nel post la lettera inviata a BERGAMO NEWS – Quotidiano on-line da un dipendente di un centro commerciale che condivido pienamente.

Lo sfogo - Il dipendente di un centro commerciale contesta la politica delle aperture domenicali che calpesterebbero i diritti e le libertà delle persone costrette a lavorare. 

"Noi forzati dell'ipermercato chiediamo che ci ridiano la domenica in famiglia"

Gentile Direttore, gentile Redazione,
mi ritrovo dopo due anni a dover riparlare di un problema che affligge i dipendenti del commercio, sempre più bistrattati da contratti al limite dell'incredibile, precariato sotto ricatto e quindi impossibilitato a difendere i diritti fondamentali per qualsiasi lavoratore.
Il nostro contratto è stato firmato con anni di ritardo contornato da "contentini" economici, prima da due sigle sindacali (CISL E UIL) ed in un secondo tempo anche dalla CGIL, mettendo la parola fine a tutto quello che i nostri nonni e genitori avevano conquistato con lotte vere, e le conseguenze le pagheranno come al solito i lavoratori.
Nel nuovo contratto o meglio quello modificato, si indica che la DOMENICA venga considerata come un giorno qualunque della settimana lavorativa con l'obbligo dei dipendenti a tempo determinato a prestare servizio, per quelli a tempo indeterminato la legge Regionale dispone l'obbligo di lavorare circa 23 DOMENICHE l'anno (Legge Bersani più il 30% di quelle derogate dal Sindaco).
La Regione Lombardia continua la sua incapacità a dare delle regole precise sulle aperture festive nell'ambito del commercio in generale creando confusione e mettendo così in difficoltà chi ha pochi dipendenti ed è impossibilitato a organizzare una turnazione programmata.
Si è venuto a creare un sistema per indirizzare il cliente a frequentare il CENTRO COMMERCIALE nel giorno festivo danneggiando così la settimana intera, senza nessun ritegno per chi ci lavora e si vede l'unico giorno della settimana da passare in relax con la propria famiglia scippato da incompetenti manager di un commercio oramai allo stremo. E' risaputo da tutti gli addetti del settore che la DOMENICA aperta non risolve nessun tipo di problema e nella maggior parte dei paesi Europei il ragionamento logico porta a ridimensionare la scellerata scelta iniziale di liberalizzare la costruzione di migliaia di CENTRI COMMERCIALI e ampliare gli orari e le giornate lavorative.
In Francia si stanno accorgendo di aver costruito troppi MOSTRI, in Germania la CHIESA tramite un avvocato ha sollevato il problema alla CORTE COSTITUZIONALE ed è riuscita a limitare a 8 in un anno le festività lavorative, nei paesi scandinavi al primo posto viene la FAMIGLIA e il tempo libero, in molti paesi Europei si chiude alle 19 o al massimo alle 20 ed infine IN MOLTE REGIONI ITALIANE si comincia a ridurre orari e festività lavorative. Qual'è il senso di tenere aperto alla sera dopo le 20? Spreco di energia e perdita di tempo ecco il senso! Nella maggior parte degli esercizi commerciali l'ultimo scontrino si emette alle 20 dopodiché il vuoto assoluto, il deserto.
Per quanto riguarda la DOMENICA basterebbe chiedere l'incasso invece di usare il contapersone come parametro di giudizio per l'affluenza, ci si accorgerebbe che non tornano i conti perché le spese di gestione superano abbondantemente il cassetto e quindi molti piccoli esercizi chiudono i battenti.
Quando si arriverà (spero mai) a TUTTE le DOMENICHE con 550 CENTRI COMMERCIALI nella sola Lombardia contemporaneamente aperti, ci sarà un incremento di pubblico e di incassi?
La risposta è NO! Già adesso non esiste questa grande affluenza proclamata e non ci sono introiti adeguati, viene tutto spalmato sul fine settimana, tre giorni, Sabato Domenica e Lunedì ma con un costo di una giornata festiva in più che pesa al titolare, che ricattato, in caso di rifiuto di un mancato rinnovo del contratto di affitto, deve OBBLIGARE i dipendenti (a loro volta ricattati) a sacrificare una giornata inutile al lavoro oltretutto sottopagati. Sì perché la maggiorazione per il lavoro festivo è del 30% lordo quantificato a circa 15 euro in più della paga giornaliera ordinaria.
Esistono migliaia di motivi per rinunciare a queste aperture selvagge ma sembra che alla Regione Lombardia interessi poco, anzi sollecitata dalle grandi potenze commerciali soprattutto estere che a suon di soldoni comprano i comuni ridotti sul lastrico continua imperterrita ad ignorare la vera realtà che non è quella sbandierata da finti esperti del settore e da molta stampa controllata.
Mi delude il silenzio della Chiesa di Bergamo così "attenta" a proposito di molte argomentazioni di carattere Cristiano ma non sul problema di distruzione della famiglia che comporta il lavorare in un giorno destinato dal Signore alla riunione con la propria moglie ed i propri figli, non una parola, nessun gesto (come in Germania)..... forse si sono arresi anche loro.
Ci sentiamo una categoria abbandonata e demotivata che con l'andare del tempo perde di professionalità, e badate nel nostro settore è importantissima dal momento che hai a che fare con il pubblico, non si inventa un buon commesso ma si costruisce col tempo e con la pazienza che solo un titolare tranquillo e motivato ma soprattutto non ricattabile può trasmettere tutta la sua esperienza e insegnare un "mestiere" sì perché il nostro nonostante le dicerie è un MESTIERE e non è per niente semplice come sembrerebbe.
Non mi stupirei se nel prossimo futuro scoppiasse COMMERCIOPOLI considerato con quale leggerezza i Sindaci DELIBERANO DOMENICHE, nascondendosi dietro false norme interpretate a loro piacimento; COMUNE TURISTICO, CRISI DEL SETTORE, FALSI DISTRETTI COMMERCIALI e chi più ne ha più ne metta, pochi sanno che la programmazione delle DOMENICHE deve essere comunicata nel mese di Novembre per l'anno successivo alla presenza delle controparti (immagino i Sindacati), invece esistono Comuni che deliberano l'apertura 15 giorni prima, in accordo con i Direttori dei Centri commerciali tenuti in scacco da votazioni effettuate da un comitato interno di dubbia concezione democratica.
Dopo 20 anni nello stesso punto vendita e CENTRO COMMERCIALE ho avuto modo di vivere esperienze dirette con svariate tipologie di persone (sono passati circa 10 Direttori) accumulando informazioni e umori contrastanti per quanto riguarda la crescita e la trasformazione peraltro necessaria della nostra professione, ma negli ultimi anni non sono tranquillo e con me tantissimi dipendenti che hanno dato tanto per lo sviluppo delle aziende in cui prestano servizio.
Abbiamo depositato e protocollato nel comune di Curno 1378 firme (dipendenti, clienti, cittadini di Curno e comuni limitrofi) con allegato un comunicato all'attenzione del Sig.Sindaco Dott.Gandolfi che ha ricevuto una nostra delegazione un paio di volte dimostrandosi inizialmente disponibile e favorevole a limitare il numero di festività che riguardano il CENTRO COMMERCIALE CURNO, ma c'è chi continua a "spingere" per aumentarle fino ad aumentarle (per il momento) a 31 da effettuare nell'anno corrente mettendo in difficoltà chi ha programmato ferie, permessi, turni, creando confusione e rivalità nei punti vendita nell'incertezza assoluta.
Ritengo la Vostra un'informazione LIBERA ed è per questo che chiedo di pubblicare questo sfogo che non è solo mio, perché rappresento migliaia di pensieri di dipendenti stanchi che mi appoggiano tutti i giorni con gesti semplici ma di valore assoluto.
Distinti saluti

Massimo Q.
Pubblicata su BERGAMO NEWS Lunedì 8 Marzo 2010

giovedì 13 gennaio 2011

ALCUNE RIFLESSIONI SULLE APERTURE FESTIVE

L'apertura dei centri commerciali nei giorni festivi e domenicali non può non suscitare molteplici interrogativi. La domenica diventa sempre più tempo del lavoro, in cui prevale «la logica dello scambio», e sempre meno tempo della festa e del riposo, della riflessione sul proprio lavoro e della socialità. Oltre che della famiglia.
Il punto è che la grande distribuzione con l'apertura festiva offre un servizio che non va a ovviare a un bisogno effettivamente percepito dalla popolazione (ad eccezione dei pur numerosi "feticisti dello shopping"), ma tende più che altro a... creare questo bisogno.
Resta il fatto che, in parole povere, se c'è il centro commerciale aperto di domenica, la "gente" tende ad andarci in massa, ma se esso non c'è, la "gente" vive benissimo lo stesso.
La conseguenza sta comportando anche il cambiamento di un sistema di vita in cui la festa era considerata giorno non soltanto di ricupero di energie fisiche, ma da dedicare alla propria famiglia, ai propri figli, al conseguimento di quelle finalità (religiose, relazionali, culturali, educative, di servizio all’altro, sociali…) altrimenti impossibili nel corso dell’ordinaria ferialità.
Si pone anche una questione antropologica: quale uomo si prefigura in una società che dimentica la domenica, come tempo di festa, di riposo, in cui guardare al senso del proprio lavoro, in cui coltivare le relazioni e gli affetti e non solo i consumi?
Se si continuerà su questa strada, anche la domenica finirà, prima o poi, per essere dominata dalla logica dello scambio, della contrattazione e del consumo; da che cosa, continuando di questo passo, le persone finirebbero per accorgersi che quel giorno è domenica?
 Di qui il primo interrogativo da sottoporre all’attenzione di tutti: in che direzione siamo incamminati?
Verso ritmi di vita sempre più insostenibili, nella direzione di un vissuto sempre più incapace di esprimere significati che vadano al di là della logica del produrre-distribuire-consumare a ritmi e con volumi sempre maggiori.

Si deve prendere in considerazione anche l’aspetto etico che riguarda il senso del nostro tempo, la necessità di avere momenti condivisi di riposo, di festa.
Si deve riconoscere e rispettare valori che non rappresentano la nostalgia arcaica di una società contadina che non esiste più, ma l’affermazione della priorità dell’uomo e delle sue esigenze più profonde anche nel mondo dell’economia, del commercio e della tecnica.
Quest’attenzione per la socialità, le relazioni, lo stare insieme non in modo artificiale non vuol dire ovviamente fermare tutto la domenica, ma almeno considerare l’apertura festiva come un problema, una soluzione necessaria e da limitare quanto possibile. Non come un bene assoluto, un elemento di liberazione dell’uomo che finalmente può consumare quando vuole, come invece qualcuno ci vuole far credere.

Qualcuno potrà contrapporre le esigenze, sacrosante, dei consumatori. Sta bene.
Ma un’offerta commerciale di sei giorni a settimana per una media giornaliera che varia dalle otto alle tredici ore quotidiane non costituisce un’amplissima possibilità di scelta?  
Sei giorni a settimana e ventidue domeniche all’anno di apertura non sembrano sufficienti per lo shopping?
Ci si potrebbe chiedere, altresì, se sia più 'indispensabile' fare shopping la domenica e i festivi o trovare aperte, ad esempio, banche, uffici postali o uffici pubblici.
Perché nessuno si pone questa domanda?

venerdì 7 gennaio 2011

TAR E APERTURE FESTIVE

Riporto alcuni stralci finali della sentenza n° 02126 emessa il 22/06/2010 dal TAR di Milano e riferita ad un ricorso promosso da una società commerciale contro il Comune di Assago che non consentiva ulteriori aperture festive oltre a quelle previste dalla legge. (22 all'anno)
Il TAR ha dato ragione al Comune.


" Inoltre non va dimenticato che tra gli interessi meritevoli di tutela nell’ordinamento non vi è solo il libero esplicarsi della concorrenza a beneficio del consumatore, ma anche il diritto a fruire di un riposo settimanale nel giorno in cui la maggior parte dei propri concittadini fruisce di analogo riposo.
Il cittadino consumatore è al contempo un cittadino lavoratore oltre ad un genitore che rischia di non poter trascorrere con i figli proprio quei giorni in cui la chiusura delle scuole favorirebbe un contatto più intenso.
Ed allora, sebbene siano mutati i costumi e vi siano sempre più persone che dedicano le giornate festive allo shopping anche di prodotti alimentari, la possibilità, senz’altro maggiore che in passato, di trovare i negozi e gli altri esercizi commerciali aperti la domenica non può significare apertura sempre e comunque senza alcun limite.
La moltiplicazione delle grandi strutture di vendita ha ridotto e sempre più sta riducendo la presenza di negozi cosiddetti di vicinato non in grado di competere con i prezzi che le grandi catene possono offrire al consumatore.
Resta, però, un interesse per i Comuni che dette strutture commerciali non scompaiano del tutto perché svolgono un utile funzione sociale per gli anziani e per tutti quei cittadini che non sempre hanno avuto il tempo di fare la spesa in un supermercato."

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso epigrafato, lo rigetta.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.000 oltre C.P.A. ed I.V.A nei confronti del Comune di Assago e di € 1.000 nei confronti della Regione Lombardia.

Il Link della sentenza:
http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Milano/Sezione%204/2009/200900528/Provvedimenti/201002126_01.XML

giovedì 6 gennaio 2011

DISTRETTO del COMMERCIO

Perché una vetrina accesa è un pezzo buio di strada in meno!
Spinto dalle vicende legate alla prossima costituzione, nella zona di Romano di Lombardia (BG) e dintorni, del Distretto del Commercio, scrivo queste righe perché, al di là dei legittimi interessi dei piccoli negozi, voglio ribadire il valore sociale e il contributo alla vivibilità dei paesi che danno le attività dei servizi e il piccolo commercio di vicinato.
Premettendo che la legge regionale sui Distretti del Commercio è nata per salvaguardare le varie polarità commerciali, noto che invece nella proposta del Distretto di Romano di Lombardia sono state scritte delle regole che andrebbero a favorire ulteriormente i due/tre centri commerciali della zona concedendo ulteriori aperture festive oltre alle 22 già consentite dalla Legge.
Ribadisco che sono favorevole alla costituzione del Distretto del Commercio, ma contrario al Distretto prospettato che avrebbe, principalmente se non essenzialmente, lo scopo di favorire i centri commerciali con ulteriori aperture domenicali, che sono state finora concesse dai Sindaci nascondendosi dietro norme interpretate a loro piacimento; COMUNE TURISTICO, CRISI DEL SETTORE, FALSI DISTRETTI COMMERCIALI e chi più ne ha più ne metta.
Alle Amministrazioni Comunali ricordo che tali politiche concorrono lentamente a ridurre gli spazi di mercato del commercio di vicinato e ne accelerano il declino, minando la possibilità di mantenere una presenza significativa, per molti aspetti considerata imprescindibile anche dal punto di vista sociale nel territorio.
Ritengo sia altrettanto utile rammentare come, la diffusione capillare dei negozi di vicinato, costituisca un servizio indispensabile e apprezzato dai consumatori e rappresenti un presidio fondamentale per un efficace contrasto al degrado urbano.