lunedì 13 maggio 2013

Aperture domenicali. 'Solo cose buone per Crema'

13-05-2013
Aperture domenicali. 'Solo cose buone per Crema' appoggia la battaglia di Rifondazione Comunista anche se la responsabilità delle liberalizzazioni è del centrosinistra

 Crema - Negozi aperti la domenica e nelle feste si o no? 
La protesta lanciata dal consigliere comunale di Rifondazione Comunista Mario Lottaroli trova un alleato in Tino Arpini di Solo cose buone per Crema che però sottolinea che se i negozi sono aperti la domenica la colpa è proprio del centrosinistra.

Liberalizzazioni malaugurate
Scrive Arpini: “Mi associo alle vibranti contestazioni del collega consigliere comunale di Rifondazione Comunista, Lottaroli, per l’inopportuna apertura degli esercizi commerciali nelle festività del 25 Aprile e del 1° Maggio. 
Tuttavia devo sottolineare che l’origine dell’errore che ha portato la malaugurata cosiddetta “liberalizzazione” del governo Monti alla apertura indiscriminata degli esercizi commerciali è stata la pressante richiesta dei grossi centri commerciali, divenuti nuovi santuari festivi”.

Il Pd e le coop
“Il Pd - aggiunge Arpini - ha interessi commerciali ben radicati in questo settore, con determinante peso politico sulla scelta effettuata. 
Centri commerciali la cui gestione poi è in netta contraddizione rispetto ai principi enunciati, dal lavoro precario al mancato rispetto del sovraprezzo festivo sulla paga oraria, barattato con un semplice recupero feriale; ma la crisi dei posti di lavoro impone l’accettazione di condizioni inique. In nome del budget di fatturato vengono sacrificati tutti i valori primari a cui avrebbe diritto il dipendente, da quelli sociali, morali-religiosi, civili e, pare, anche economici”.

Aumentano solo i costi di gestione
“Ma, com’è ovvio, e dimostrato dopo un anno, l’ampliamento dell’orario non porta automaticamente un aumento del fabbisogno e dunque dei consumi, bensì l’aumento di costi di gestione con pesanti ricadute sul prezzo dei prodotti che pagano i consumatori. 
E questa frenesia di richiamare clientela a largo raggio - aggiunge il consigliere di minoranza - mette in circolazione un traffico automobilistico, foriero a sua volta di altri costi individuali e sociali per andare inutilmente a cercare a 50 km le stesse cose che abbiamo sotto casa, presentate semplicemente in suggestioni e luoghi diversi salvo, magari, pubblicizzarci ironicamente la cultura dei prodotti a km zero e inculcarci il concetto di auto- identificazione di noi clienti con l’ipermercato stesso”.

La difficoltà dei più piccoli
“L’esercente in proprio, senza dipendenti, non può certo reggere i ritmi di apertura della grande distribuzione e si trova costretto a subire una sorta di concorrenza sleale in tutti i giorni festivi dell’anno quando, restando chiuso, vede i suoi prodotti uscire in quantità dalle porte dei centri commerciali. 
Ma in sede di dichiarazione redditi, se non è conforme agli studi di settore elaborati da burocrati ben pagati e non troppo sudati, si vede costretto a pesanti integrazioni fiscali. Gioco forza per gran parte degli esercenti cercare di arrotondare gli incassi, rinunciando al riposo e resistendo alla concorrenza sleale”.

Ci si deve adeguare
“Quindi, da questa analisi, sminuirei il proclamato principio del primato del profitto, fatto da Lottaroli, per considerare la necessità vitale del piccolo esercente, che oltretutto restando aperto nelle festività non prevarica diritti ad alcuno se non a se stesso, di sopravvivere ad un mercato le cui quote sono sempre più incetta esclusiva dalla grande distribuzione. 
La soluzione auspicabile - conclude Arpini - è di tornare a godere le feste, tutte, anche quelle non meno nobili di quelle civili, secondo le proprie personali sensibilità, lasciando abbassate le saracinesche a cominciare dai grossi centri commerciali, e gli altri di conseguenza.

Referendum
Ma riuscirà questa politica a superare i propri interessi, proprio ora che si profila l’abolizione del finanziamento ai partiti, e a concederci una vera “liberalizzazione” dalla schiavitù commerciale? 
 La mancata pubblicizzazione della recente raccolta firme in questa direzione è un brutto segnale; spero che abbiano raggiunto quel minimo necessario per proporre un referendum e che i cittadini si destino dal torpore che la battente pubblicità televisiva e cartacea procura a tutti noi dentro le nostre stesse mura domestiche. 

di Emanuele Mandelli