lunedì 30 maggio 2011

LA DOMENICA PER TUTTI

L'apertura festiva e domenicale continua e a oltranza dei centri commerciali scontenta chi ci lavora e anche i piccoli negozi che si sentono penalizzati dalla concorrenza sleale della grande distribuzione.
Confermo, come dice un lettore di un quotidiano da cui ho preso spunto per questo post, che basterebbe poco per far tutti contenti.
Chi dovrebbe decidere, e cioè la politica sia a livello centrale sia a livello locale, fa finta di niente e si lascia condizionare dall’arroganza e dalla prepotenza delle multinazionali della Grande Distribuzione.
Invece, anche secondo me, esiste una proposta fattibile e di buon senso che potrebbe mettere tutti d’accordo.
Tenendo naturalmente conto che la legge, in Lombardia, prevede già ventidue domeniche all’anno di aperture, basterebbe fare una calendarizzazione di aperture a rotazione in un contesto di macro-area, come succede da tempo per i distributori di carburante, e dare ai Comuni l’obbligo di prevedere un calendario di aperture festive a rotazione (per esempio su due turni) come appunto avviene per i turni di apertura festiva delle pompe di benzina.
Per le grandi città, dato il gran numero di centri commerciali, il problema non esiste, per la Provincia basta prevedere delle macroaree dove siano presenti almeno due centri commerciali che a turno soddisferebbero le esigenze dell’utenza.
In questo modo sarebbero contenti i clienti che avrebbero almeno un centro commerciale aperto dove fare spesa durante il fine settimana, i lavoratori della grande distribuzione che potrebbero godersi anche loro il meritato riposo domenicale con la famiglia, i piccoli commercianti che non subirebbero la concorrenza sleale delle aperture festive indiscriminate.
E sarebbe contenta anche la grande distribuzione perché nelle domeniche di apertura non dovrebbe fare i conti con gli altri centri e i guadagni delle domeniche di chiusura sarebbero compensati con un maggior afflusso durante quelle di apertura.
È una proposta da approfondire e potrebbe essere una soluzione di buon senso per la tutela del piccolo commercio, facendo in modo che i centri commerciali, che spingono per l’apertura a oltranza, non vadano a crearsi una situazione di vantaggio nei confronti dei negozi di vicinato, il cui valore economico e sociale deve essere tutelato.
Troppo spesso, infatti, si dimentica il valore sociale legato alla rete della piccola distribuzione e ciò vale sia per i livelli occupazionali, che per il loro valore aggiunto di socializzazione, soprattutto nelle nostre piccole comunità locali.

domenica 15 maggio 2011

TEMPI DI LAVORO E DI RIPOSO CONDIVISI DA TUTTI

Le autorità pubbliche hanno il dovere di vigilare affinché ai cittadini non sia sottratto, per motivi di produttività economica, un tempo comune, condiviso da tutti, destinato al riposo.
Con le continue aperture domenicali e festive si corre il rischio che la domenica o il giorno festivo diventino giorni vuoti, catturati dai facili miti del consumo, mentre dovrebbero liberare l’uomo dalla assolutizzazione del lavoro e del profitto.
Che cosa pesa di più in un’apertura domenicale o festiva degli esercizi commerciali? La necessità del datore di lavoro? Le abitudini dei consumatori? O che cos’altro?
Una certa parte delle famiglie considera indispensabile poter fare acquisti di domenica. La maggior parte di queste famiglie sfrutta questa opportunità per rinnovare il guardaroba e solo in seconda battuta per approvvigionarsi di cibo e dichiara che se i negozi fossero sempre aperti non cambierebbe comunque il giorno che dedica abitualmente alla spesa alimentare.
In quale direzione si stanno muovendo allora gli interessi della distribuzione organizzata? Non tanto verso un’apertura totale dei negozi nelle domeniche e nei giorni festivi, quanto piuttosto verso “una regia liberista e libera di rimescolare le carte di volta in volta secondo le esigenze di bilancio, i tempi della logistica e il termometro della spesa”.
La legislazione italiana ha già stabilito che il riposo settimanale cada di domenica precisando le possibili deroghe: sanità e assistenza, trasporto pubblico, lavorazioni a ciclo continuo, ampi settori dell’agricoltura, il comparto turistico, per citare solo alcuni casi, devono funzionare 365 all’anno.
Se non ci sono obiezioni di principio alla possibilità di lavorare anche di domenica, è però necessario che il metro di misura sia molto preciso. In caso contrario le situazioni di necessità sarebbero infinite. Una comunità ha bisogno di tempi di lavoro e di riposo condivisi da tutti proprio per rimanere una comunità. È un compito di civiltà che si allarga alla dialettica fra imprenditori e sindacati, al dibattito culturale, alla responsabilità delle istituzioni.
Le leggi statali e regionali hanno messo nelle mani del Sindaco quasi tutte le decisioni riguardanti le aperture e le chiusure dei negozi. Spetta a loro evitare derive liberiste che rischiano di indebolire il sistema di valori su cui si riconoscono i nostri paesi e le nostre città.

Sintesi da un articolo del corriere cesenate

domenica 1 maggio 2011

ORDINANZE APERTURE DOMENICALI: SCHIERAMENTO DI PARTE


Riferendomi alle continue ordinanze di deroga alla chiusura domenicale e festiva si riscontra continuamente che la politica preferisce schierarsi esclusivamente a favore dei grandi interessi economici perdendo una buona occasione di tutelare anche le categorie più deboli; quella stessa politica che ostinatamente rifiuta di dare ascolto alle grida di dolore provenienti dalle associazioni dei commercianti, che da qualche tempo denunciano lo stato di agonia profonda in cui il piccolo commercio versa, a causa delle “regolamentazioni” in senso ultraliberista che stanno interessando il settore.

L’apertura indiscriminata festiva dei centri commerciali poi non ha alcuna ragione giuridica, non trattandosi di servizi essenziali e indispensabili per la collettività e altera in modo grave e pregiudizievole l’alternanza dei tempi di vita e di lavoro costituzionalmente salvaguardati nell’interesse della “persona”.

Voglio ricordare che il settore commercio è formato in massima parte, forse ancora per poco, da una rete di piccoli esercizi commerciali che sono una tipicità tutta italiana e che la grande distribuzione costituisce, almeno numericamente, una minoranza a cui però la politica, inspiegabilmente, consente di scrivere la propria agenda.

Rilevo che sono rimaste inascoltate le voci contrarie a questo tipo di scelta, a più riprese espresse dalle maggiori organizzazioni dei lavoratori e dei consumatori e dal commercio di vicinato.
Ricordo che i soggetti su cui ricadono i nefasti effetti di questo tipo di decisioni sono i piccoli commercianti e loro dipendenti, i dipendenti della grande distribuzione e loro familiari costretti a ritmi di vita inaccettabili, i consumatori residenti nelle periferie e piccoli centri che, in molti casi, assistono alla chiusura dei piccoli esercizi commerciali che in detti contesti, svolgono altresì ruoli aggregativi e sociali.

Una efficace politica per il commercio dovrebbe ripartire dalla creazione di una più leale concorrenzialità tra la grande e la piccola distribuzione, facendo in modo che i centri commerciali con le continue aperture festive non vadano a creare una situazione di svantaggio nei confronti dei negozi di vicinato.
Troppo spesso si dimentica il valore sociale legato alla rete della piccola distribuzione e ciò vale sia per i livelli occupazionali, che per il loro valore aggiunto di socializzazione, soprattutto nelle nostre piccole comunità locali.

Per questo bisogna perseguire ogni minimo spiraglio di dialogo con chi ha il potere decisionale, teso a individuare un modello che sia il giusto equilibrio tra TUTTI gli interessi in campo.