RIFLESSIONI, PROPOSTE, SPUNTI E ARTICOLI VARI RIGUARDANTI IL COMMERCIO DI VICINATO e non solo
giovedì 18 dicembre 2014
IL GOVERNO ORBAN DIFENDE LE PICCOLE IMPRESE UNGHERESI: IPERMERCATI E CENTRI COMMERCIALI CHIUSI LA DOMENICA, I NEGOZI NO.
La coalizione di governo ungherese non cessa di stupire e anche questa volta è riuscita nell’intento di far approvare una legge che introduce delle misure per proteggere i piccoli commercianti dallo strapotere dei supermercati e dei centri commerciali.
E a tale proposito pochi giorni fa è stata approvata dal parlamento ungherese una legge che disciplina la chiusura domenicale di negozi e supermercati, misura che è stata proposta dai cristiano democratici del KDNP, il partner di coalizione della Fidesz, il partito governo.
Tale proposta entrerà in vigore il 15 marzo 2015 ed è piuttosto interessante in quanto va controcorrente rispetto ai provvedimenti adottati in altri paesi europei in tema di apertura domenicale, come ad esempio l’Italia.
Tale legge prevede che a dover restare chiusi la domenica saranno i negozi di dimensioni superiori ai 200 metri quadrati, ad eccezione di quelli il cui personale attivo la domenica è un proprietario per almeno il 20% o un membro della famiglia dei proprietari.
Gli orari di apertura saranno comunque limitati dalle 6 del mattino alle 22 durante tutta la settimana e tutti i negozi di retail saranno autorizzati a restare aperti nelle 4 domeniche che precedono il Natale, dalle 6 del mattino alle 22 e in un’altra domenica aggiuntiva, a scelta del proprietario.
Il 24 e il 31 dicembre i punti vendita potranno restare aperti dalle 6 del mattino fino al pomeriggio. Un’altra eccezione sarà vigente per le panetterie, che potranno stare aperte dalle 5 del mattino a mezzogiorno la domenica e negli altri giorni festivi e dalle 5 alle 22 negli altri giorni.
Quelli che vendono solo pane e latticini possono aprire alle 5 del mattino anche durante la settimana. Fiorai e giornalai possono aprire la domenica dalla mattina alle 6 fino a mezzogiorno.
La legge stabilisce inoltre che il governo sia autorizzato a regolare gli orari per casi singoli in caso di speciali ambienti locali, nel caso di località turistiche, ma anche in base a numero di dipendenti, di abitanti e di trend della zona.
Come è facile immaginare, nel mirino ci sono i grossi supermercati Tesco e Spa, mentre saranno pressoché indenni alcune catene di retail ungheresi come i minimarket Coop, Real e gli altri a conduzione familiare.
Anche CBA, la principale insegna nazionale del retail, è interessata dalla legge, perché quasi tutti i suoi punti vendita superano i 200 metri quadrati anche se non dovrebbe avere grossi problemi visto che le persone non potranno più fare la spesa negli ipermarket dove il flusso si concentra sulla domenica.
Com’è possibile vedere ancora una volta la coalizione di governo ungherese dimostra di avere a cuore gli interessi dei cittadini e delle piccole imprese e non esita a far passare leggi che limitano il potere delle multinazionali.
Ovviamente una legge simile dovrebbe essere introdotta anche in Italia ma questo non avverrà mai visto che le lobby della grande distribuzione (che includono le coop rosse) farebbero di tutto per bloccarla e quindi ciò che sta avvenendo in Ungheria per noi resterà solo un bel sogno.
Fonte: www.ilnord.it
sabato 18 ottobre 2014
Aperture domenicali, gli alimentaristi cesenati: "Penalizzati i negozi di vicinato"
Fida cesenate rimarca "che nei grandi Stati
europei, Francia, Germania, Regno Unito, come anche, tra gli altri, Austria,
Belgio, Grecia, Norvegia, non prevedono estesamente la chiusura domenicale
degli esercizi commerciali"
L'apertura
degli esercizi commerciali nelle giornate festive domenicali continua ad essere
un tema al centro del dibattito.
"In
Italia e anche nel nostro territorio a distanza di due anni dall’entrata in
vigore della deregolamentazione gli effetti annunciati sulla crescita non si
vedono - sottolinea Giancarlo Andrini, presidente della Federazione italiana
alimentaristi (Fida) Confcommercio cesenate -. Sono invece stati gravemente
penalizzati gli esercizi commerciali di vicinato oltre alla qualità della vita
dei lavoratori del commercio, siano essi autonomi o dipendenti.
Qualcuno ha
tentato di far notare che in Europa si fa così".
Fida
cesenate rimarca "che nei grandi Stati europei, Francia, Germania, Regno
Unito, come anche, tra gli altri, Austria, Belgio, Grecia, Norvegia, non
prevedono estesamente la chiusura domenicale degli esercizi commerciali.
Vi sono qua
e là deroghe per forni, tabacchi, edicole, fioristi, distributori di benzina,
oppure per attività in luoghi particolari come aeroporti e scali marittimi.
In certi
casi si prevede la possibilità per le sole piccole superfici di aprire la
saracinesca la domenica, a propria discrezione.
Insomma: si
cerca di stabilire un equilibrio tra l’impatto dirompente che la
deregolamentazione sulle aperture domenicali può avere sulla vita dei
lavoratori e dei negozi indipendenti, la sfida sulla concorrenza lanciata dalle
grandi superfici, l’utilità per i consumatori".
"Dall’altra
parte - aggiunge Andrini - troviamo gran parte degli Stati dell’est e del sud
Europa come Bulgaria, Polonia, Romania, Ungheria, Portogallo, Spagna, Turchia,
un gruppetto di nordici quali Svezia, Danimarca, Finlandia, Olanda, e l’Italia,
unico dei grandi.
In questi
casi si va dalla deregolamentazione pura e semplice del nostro Paese, e di
alcuni altri, a normative che comunque consentono l’apertura domenicale, a
volte facendo salve alcune festività nazionali o religiose.
Ce n’è
abbastanza per riflettere".
Chiosa
Andrini: "Solo in Italia, tra i grandi Stati europei, sono passate le
aperture festive e domenicali completamente deregolamentate.
Non mancano
invece, per esempio nel Regno Unito, normative che al contrario autorizzano
solo la piccola distribuzione all’apertura domenicale, ma non i grandi, avendo
ben chiare le dinamiche dei flussi festivi, che inevitabilmente rischiano di
impoverire il tessuto commerciale e la pluralità distributiva".
"Fida -
conclude - non molla la presa e continuerà a dialogare con tutte le istituzioni
per trovare soluzioni capaci di tamponare questo assetto distorto per i
lavoratori e per il commercio tradizionale e di vicinato, ricchezza del
territorio e bastione per la coesione sociale, che non ha portato reali e
proporzionati benefici ai consumatori".
venerdì 3 ottobre 2014
Confesercenti: per 67% italiani sempre meno 'negozi di vicinato'
Articolo
pubblicato il: 01/10/2014
Il
67% degli italiani rileva che il proprio quartiere ha visto diminuire
nettamente i negozi di vicinato negli ultimi due anni. E’ uno dei dati che
emergono dal sondaggio Swg-Confesercenti, che l'organizzazione ha illustrato
nel corso della conferenza stampa tenuta alla Camera dei deputati "per
ribadire la forte insoddisfazione nei confronti dell’approvazione del
provvedimento sugli orari dei negozi che ora passa all’esame del Senato".
Molti
degli intervistati hanno segnalato che i negozi di cui erano clienti abituali
non ci sono più e il 59% del campione dà ragione a chi ritiene che la
normativa della "liberalizzazione selvaggia" vada rivista.
Le ragioni di
Confesercenti, che chiede al Senato una modifica del provvedimento, sono state
illustrate da Massimo Vivoli, vicepresidente dell'associazione: "Fra crisi
di consumi, mancanza di credito e liberalizzazione, l’esito è stato devastante
in questa lunga crisi con oltre 124 mila negozi chiusi e l’accelerazione della
desertificazione dei centri urbani.
Le vie commerciali
delle nostre città, in alcuni casi icone turistiche di valore, presentano
sempre più file di saracinesche abbassate. Inoltre, gli effetti della
liberalizzazione senza regole e la crisi hanno prodotto più di 100 mila posti
di lavoro perduti solo fra il 2012 e il 2013".
Vivoli ha ribadito
che "vogliamo evitare il collasso delle oltre 470 mila imprese del
commercio con due dipendenti o meno: continueremo a insistere perché la
legge sugli orari, ora al Senato, venga modificata in direzione di un maggiore
equilibrio e sosterremo le regioni che hanno richiesto un referendum per la
revisione della deregulation".
Vivoli ha poi
annunciato anche una lettera aperta della Confesercenti al presidente del
Consiglio segnalando che "anche in questo caso stanno prevalendo le
logiche dei poteri forti".
E Mauro Bussoni,
segretario generale di Confesercenti, "ha sostenuto che è falso
affermare che ce lo chiede l’Europa e che la liberalizzazione si è rivelata
inefficace sui consumi e sull’occupazione". "La stessa concorrenza
- ha detto - ha subito distorsioni gravi a scapito delle piccole superfici:
ormai il 74% del commercio alimentare è in mano alla grande distribuzione come
il 59% del no-food.
La riduzione delle
vendite ha reso più drammatica la situazione dei piccoli esercizi che hanno
perso il 7,8% ma la liberalizzazione non ha provocato benefici di sorta anche
per la gdo che ha accusato una flessione del 2,2%".
Bussoni ha poi
sottolineato un altro dato drammatico: "I negozi sfitti hanno superato la
quota di 600 mila, centomila in più rispetto al 2012".
Bussoni ha infine
rilanciato una proposta di mediazione partendo dal testo originale del
provvedimento di legge che prevedeva 12 chiusure obbligatorie durante l’anno. "Una base di
partenza congrua - ha detto Bussoni - che andrebbe declinata con flessibilità
introducendo la possibilità da parte dei sindaci di modificarle a seconda delle
esigenze del territorio".
Nel
corso dell’incontro, hanno parlato i rappresentanti di associazioni dei
consumatori che sostengono l’iniziativa. Rosario Trefiletti, di
Federconsumatori, ha richiamato la necessità di una interlocuzione fra politica
e corpi intermedi essenziale per definire modalità della vita economica e
sociale che riguardano il territorio.
E’ anche giunto un
messaggio del Presidente della Pastorale del lavoro, Mons. Giancarlo
Bregantini, che ha ricordato le parole del Papa quando ha sostenuto che
"la domenica va resa libera dal lavoro, eccettuati i servizi necessari,
per affermare che la priorità non è a livello economico, ma all’umano, al
gratuito, alle relazioni non commerciali ma familiari".
Bregantini si augura
che si possa "incidere sui parlamentari con proposte ferme pur se
progressive".
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