sabato 31 marzo 2012

CASH MOB a MILANO CONTRO LA CRISI

MILANO – arriva in Italia l’iniziativa americana del Cash mob, soluzione solidale nata a Cleveland nel 2011 per dare sostegno ai commercianti in difficoltà.
Siamo oramai avvezzi infatti alle tristi storie della crisi: gli affari scarseggiano, l’affitto è salato, le persone non comprano, le attività chiudono.
Nasce così il Cash mob, derivato del flash mob, un incontro informale di un gruppo di persone che si danno appuntamento in un dato luogo a una data ora, con un fine comune. L’appuntamento, in Italia, è per sabato 14 aprile in piazzale Bacone, zona Corso Buenos Aires, alle ore 18.
L’obiettivo è recarsi in un esercizio commerciale dove spendere almeno 10 euro per aumentare i suoi guadagni per un giorno.
I partecipanti all’iniziativa, fino a quell’ora, non saranno a conoscenza del negozio da prendere di mira, per aumentare l’aspetto ludico del mob e anche per evitare pregiudizi riguardo al particolare negozio. Un sollievo, per un giorno, per il negoziante a rischio di chiusura.
È la prima volta che un cash mob avviene in Italia (mentre diversi sono stati gli esempi di flash mob: da quello napoletano nel giorno degli innamorati del 2010, al bacio libero ai Ikea a Roma lo scorso Maggio): l’iniziativa, ideata a Cleveland, negli Stati Uniti, da Andrew Samtoy e Christopher Smith per supportare i negozi più colpiti dalla crisi, è nata dopo la mobilitazione ondine.
Alle sei in punto un gruppo di cittadini si è ritrovato in un luogo prestabilito e ha seguito le istruzioni dell’organizzatore che li ha invitati a invadere la libreria indipendente Visible Books e il ristorante Bac. Davanti allo sguardo sorpreso dei proprietari, hanno acquistato libri e cibo per circa 1500 dollari in una sola serata.
Nel nostro Paese ancora non si trovavano volontari disposti a organizzarne: ma dallo scorso 8 marzo, sulla scia del successo avuto all’estero e a pochi giorni dal primo Cash Mob Day che si festeggerà il 24 marzo in tutto il mondo, è nato il gruppo milanese Cash Mob Milano.
Il fautore del gruppo è Luca Valzania, romano trasferitosi a Milano, ferratissimo nel web e interessato a questa forma solidale di aiuto al commercio.
Dotatosi di tutti gli strumenti internet per promuovere il gruppo (sito, blog, Facebook, Twitter), ha individuato nella sua zona di domicilio un negozio produttore di cultura e a rischio di crisi. Dopodichè, il passaparola e la viralità dei social network e dei media odierni hanno permesso una rapida organizzazione dell’evento, a cui si può dare adesione fino al 14 aprile.
E sempre sull’orma delle soluzioni statunitensi, dopo l’azione solidale, il gruppo continuerà il momento di socialità con un aperitivo in un bar del quartiere, aiutando così anche un’altra realtà commerciale.
Valzania è alla ricerca di persone che condividano questo modus operandi per espandere questa modalità, organizzare nuovi cash mob a Milano e a Torino, unendosi possibilmente con gruppi internazionali.

LA DOMENICA NON SI VENDE 1





UN BUON ESEMPIO: NASCE SERIOCARD


31/03/2012
Il 2 Aprile 2012 nasce la Seriocard, la carta fedeltà del distretto Insieme sul Serio.
Gli obiettivi: attuare politiche, azioni e progetti concreti finalizzati a sostenere attivamente il commercio di vicinato.
Sviluppare i consumi locali e fidelizzare la clientela sul territorio.
Cogliere le opportunità e le sinergie che possono derivare dal settore turistico e dai suoi sviluppi.
E’ una carta fedeltà con la quale è possibile accedere a sconti particolari facendo acquisti negli esercizi commerciali associati al Distretto del Commercio Insieme sul Serio, che comprende i Comuni di Alzano Lombardo, Nembro, Albino, Pradalunga e Ranica.
La carta, emessa in collaborazione con UBI-Banca Popolare di Bergamo, unisce tutti i commercianti e artigiani del distretto: una sola carta per 800 attività commerciali e artigianali.
Come funziona
Il consumatore ha diritto allo sconto a partire da ciascun acquisto con un valore minimo di 2 euro. Il ribasso, calcolato in percentuale sull'importo speso, viene automaticamente registrato e accumulato sulla carta.
Al raggiungimento di un importo minimo accumulato di 5 euro, il titolare della card può decidere di utilizzare, in tutto o in parte, il credito maturato e spenderlo, come se fosse denaro contante in qualsiasi negozio del circuito Seriocard.
La percentuale dello sconto va dal 2 ai 5% a seconda della tipologia del negozio; il 2% viene applicato sugli alimentari, nelle edicole/cartolerie/librerie, nei negozi di elettronica e ottica, in quelli che vendono articoli per animali; il 3% viene posto sulle prestazione degli artigiani, nei concessionari di auto e moto, sui prodotti per la persona, sui servizi, nelle strutture ricettive, nella ristorazione e nei tabacchi; il 5% sull'abbigliamento e calzature, sui casalinghi e i prodotti per la casa, su gioielli e orologi, su articoli sportivi e del tempo libero.
Gli sconti della Seriocard, rispetto ai tradizionali cataloghi premi, possono essere utilizzati per l'acquisto di qualsiasi prodotto o servizio in vendita presso gli stessi esercizi convenzionati.
Come richiedere la card
La card, gratuita, è promossa ed offerta in omaggio dagli esercizi commerciali ed artigiani associati al distretto. Il cliente che richiede la Seriocard deve compilare un modulo da riconsegnare in uno dei negozi che aderiscono all'iniziativa. Il cliente riceve, così, la sua carta da subito attiva e può iniziare a utilizzarla e accedere nell'area riservata ai titolari della card sul portale internet www.insiemesulserio.it

ANCHE IL CARDINALE DI MILANO CONTRO L’APERTURA FESTIVA DEI NEGOZI


31/03/2012
Campagna delle Parrocchie contro la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi decisa dal Governo – Una singolare iniziativa a sostegno di questa campagna parte dal Centro Commerciale Rho Center
Presa di posizione netta della Diocesi di Milano contro la liberalizzazione totale delle aperture dei negozi prevista dal decreto Salva Italia emanato dal Governo.
Il cardinale di Milano, Angelo Scola, ha detto il suo no chiaro.
Lo ha detto e ribadito in diverse omelie domenicali. “Riteniamo inopportuno l’apertura festiva dei negozi. Pensiamo all’importanza della famiglia e pensiamo anche al senso del lavoro, alla fatica di questi tempi, all’importanza del riposo festivo.
E’ giusto conservare questo che è uno spazio di comunione. Prima di sacrificare il riposo domenicale bisogna riflettere bene perché la concezione della domenica scaturisce dall’esperienza di tanti secoli”.
Nelle parrocchie della diocesi i parroci  hanno riportato ai fedeli la posizione e i concetti espressi dal Cardinale e hanno invitato i fedeli a non andare a fare la spesa nei giorni festivi.
Alcune settimane fa anche gli operatori del Centro Commerciale Rho Center hanno inviato una lettera al Sommo Pontefice oltre che al presidente Napolitano, al presidente del Consiglio Monti, a Formigoni e al Sindaco di Rho.
La lettera sottoscritta da numerosissimi operatori, dipendenti e clienti del Centro Commerciale riporta i motivi per i quali i firmatari sono contrari alla liberalizzazione dell’apertura dei negozi: motivi economici, sociali, di stile di vita, ma anche etici e religiosi.
“La liberalizzazione totale e selvaggia produrrà sulle piccole imprese conseguenze economiche e sociali molto gravi”, vi si legge. “Renderà la qualità della vita degli operatori commerciali molto scadente. Ciò che oggi viene presentato come strumento di sviluppo sarà strumento di involuzione sociale e culturale e di disgregazione familiare”.
Rivolgendosi al Papa hanno gli estensori della lettera hanno richiamato quanto sta scritto nella Genesi: ‘Il settimo giorno riposò’. E siccome Dio non aveva certo bisogno di riposo, l’espressione significa che dedicò quel giorno alla contemplazione, alla riflessione.
Significa che Dio, infinitamente più saggio e sapiente dell’uomo, ritiene la contemplazione e la riflessione aspetti fondamentali che vanno ben al di là della speranza di vendere un articolo in più”.

di Eppe Ghime da http://www.ekojournal.it/

LA LETTERA APERTA ALLE AUTORITA’ POLITICHE E RELIGIOSE
Al Presidente della Repubblica
Al Presidente del Consiglio
Al Ministro dello Sviluppo Economico
Al Presidente della Regione Lombardia
Al Presidente della Provincia di Milano
Al Sindaco di Rho
 Al Sommo Pontefice
L O R O   S E D I
Inviamo la presente per porre all’attenzione delle SS.LL. la situazione dei numerosi piccoli operatori commerciali che, come i firmatari di questa lettera, hanno la propria attività all’interno di centri commerciali e si trovano nell’impossibilità di poter decidere se cogliere o meno le presunte opportunità che la legge sulla liberalizzazione del commercio offre, ma saranno obbligati a osservare gli orari di apertura e chiusura che saranno decisi dalla direzione dei singoli centri commerciali.
La liberalizzazione totale e selvaggia del commercio, in nome di una presunta e finta libertà e competitività, produrrà sulle piccole imprese conseguenze economiche e sociali molto gravi.
Economicamente le maggiori aperture e gli orari più lunghi finiranno per essere solo ulteriori costi senza adeguati riscontri poiché, semplicemente, gli incassi attuali saranno spalmati su sette giorni invece che su sei. Per il rilancio dei consumi non servono infatti orari notturni e aperture nei giorni festivi, ma più potere d’acquisto, lavoro e stipendi adeguati per tutti.
Lavorare 365 giorni all’anno con orari quotidiani prolungati renderà la qualità della vita degli operatori commerciali molto scadente, determinata da un tempo lavoro insostenibile che avrà pesanti ripercussioni sulla vita privata, sociale e familiare degli interessati. Ciò che oggi viene presentato come strumento di sviluppo, sarà strumento di involuzione sociale e culturale e di disgregazione familiare.
Gli articoli 23, 24, 25, 27, 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani affermano, tra l’altro, il diritto di ogni individuo a giuste e soddisfacenti  condizioni di lavoro, il diritto al riposo e allo svago, il diritto a prendere parte alla vita culturale della comunità. Hanno ancora valore queste affermazioni? Ne dubitiamo. Questa nuova organizzazione del commercio usurpa agli operatori commercial il diritto-dovere a occuparsi dei propri figli , a vivere con armonia la propria  vita familiare e sociale.
La scelta di consentire l’apertura degli esercizi commerciali per 7 giorni la settimana è aberrante, ha il preciso significato di mettere il profitto, l’economia, il danaro al primo posto nella scala dei valori della nostra società. Sminuisce quindi il valore dell’individuo in quanto tale nonché quello della famiglia. Spesso e da più parti viene ribadito che la nostra società si fonda sulla famiglia. Affermazioni nettamente in contrasto con scelte che non sono certamente a tutela della famiglia, sicuramente non delle famiglie degli operatori del commercio, che di fatto non avranno a disposizione neppure un giorno da “condividere”, “da vivere insieme”.
L’apertura festiva quindi servirà non ad unire, bensì a minare l’armonia della famiglia, con conseguenze sociali facilmente immaginabili.
Riportiamo l’attenzione delle SS.LL. su  un’ulteriore considerazione: nella Genesi sta scritto:”…il settimo giorno riposò”. E siccome Dio non aveva certamente bisogno di riposo, l’espressione “il settimo giorno riposò” significa che dedicò quel giorno alla contemplazione, alla riflessione. Significa che Dio (infinitamente più saggio e sapiente dell’uomo) ritiene la “contemplazione” e la “riflessione” aspetti fondamentali, che vanno ben  al di là della speranza di vendere un “pezzo” in più.
 Non siamo nemmeno convinti che questa liberalizzazione selvaggia sia nell’interesse dei consumatori. In effetti, anche per la grande distribuzione le aperture festive e gli orari più lunghi finiranno per essere un ulteriore costo che andrà a pesare sul prezzo dei prodotti e quindi sui consumatori. Questa legge resta solo un regalo alla grande distribuzione che causerà la morte del piccolo commercio, cioè di un servizio sociale importante.
Chiediamo quindi che le SS.LL. nelle proprie prerogative si adoperino perché questa legge, assurda, iniqua e inutile, venga ripensata e riformata.
(seguono le firme)

venerdì 30 marzo 2012

CONTRIBUTO PER NUOVE ATTIVITÀ ECONOMICHE NEL CENTRO STORICO DI CHIUSI


Due nuove attività commerciali stanno per aprire nel centro storico di Chiusi.
Questa è una significativa inversione di tendenza, dopo alcune chiusure legate al difficile periodo economico e allo sviluppo di un fiorente tessuto commerciale appena fuori dalla città antica. “Evidentemente – osserva il sindaco Stefano Scaramelli – iniziamo a raccogliere i frutti di una politica di sostegno ai giovani e alle nuove imprese, con contributi a fondo perduto e il conto interessi. E per quest’anno, lanciamo un nuovo bando”.
La giunta comunale sta per approvare un contributo a fondo perduto di un migliaio di euro per le nuove aperture di esercizi di vicinato e di avvio di attività di servizi per il turismo o culturali che hanno intrapreso l’attività negli ultimi dodici mesi.
Chiunque potrà fare domanda, senza limiti di età o di altro tipo.
In contemporanea, esiste una convenzione tra Comune di Chiusi e la Banca di Credito Cooperativo Valdichiana per la concessione di prestiti per interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente e a sostegno delle attività economiche.
Prevede, da parte del Comune, la concessione di contributi in conto interesse sui finanziamenti della durata fino a cinque anni erogati dalla banca: in pratica, il finanziamento diventa a tasso zero per l’imprenditore.
Ma accanto al sostegno economico va segnalata un’intensa azione promozionale con una serie di iniziative, eventi, investimenti nella cultura, con il risultato di un crescente prestigio del centro storico.
Basti citare il fatto che artisti famosi lo stano scegliendo per le prove dei loro spettacoli, grazie anche al bel teatro esistente, così come è stato scelto nel recente passato come “location” per spot e servizi pubblicitari.
E la percezione di isolamento sta per essere definitivamente abbattuta con la creazione di nuovi marciapiedi di collegamento con lo scalo, in attesa anche di una nuova strada. “Tutte queste iniziative – osserva ancora il sindaco – servono a dare equilibrio alle varie zone del nostro Comune, e per contaminare la vocazione commerciale dello scalo e quella storico-culturale della città, in modo da favorire uno sviluppo uniforme.
Turismo e shopping devono trovare un unico riferimento nel territorio, invece di zone divise per vocazione e offerta”.

domenica 25 marzo 2012

IL CONSUMATORE È CAMBIATO. I MERCATI SAPRANNO ADATTARSI?


La ripresa dei consumi in Italia è ostacolata da almeno due fattori concomitanti: il primo è di ordine economico, il secondo attiene invece alla sfera del comportamento del singolo consumatore e riguarda il mutato atteggiamento nei confronti dei consumi stessi.

Andiamo con ordine. L'ostacolo economico è costituito da una progressiva perdita di reddito negli ultimi anni, e quindi di potere d'acquisto, di gran parte della popolazione italiana.
Una tendenza ben visibile, ancor prima della crisi del 2008, per una miscela di fattori legati alla bassa crescita del Paese e alle distorsioni legate all'introduzione dell'euro con un rapporto di cambio percepito dai consumatori (un euro, mille lire) che era di fatto la metà di quello reale.
La crisi ha quindi aggravato problemi già esistenti: si è allargata la fascia di popolazione in sofferenza economica, la criticità della quarta settimana si sta allargando in molti casi alla terza, il ceto medio è arretrato su posizioni di benessere molto inferiori rispetto al passato. Una tempesta perfetta.
Eppure il superamento dell'ostacolo economico è operazione fattibile con l'utilizzo di contromisure ben conosciute.
Difficili da mettere in pratica, ma note e condivise nelle linee guida: abbattimento della pressione fiscale, stimoli all'occupazione e in particolare a quella giovanile, insomma la vecchia ricetta che punta a rimettere soldi nelle tasche della gente, perché possano essere spesi.
Il vero terreno minato, dove ci si addentra per la prima volta in situazioni sconosciute, riguarda invece il mutato atteggiamento dei consumatori: in particolare di quelli che, senza aver subito reali contraccolpi economici dalla crisi, hanno deciso comunque di ridurre le proprie spese.
L'acquisto di beni e servizi, di ogni genere, può infatti essere suddiviso in tre grossi blocchi: utilizzo, consumo e spreco. Una semplificazione, che però rende bene l'idea.
Nella fascia di utilizzo le persone comprano solo quello che effettivamente serve loro: nulla o quasi viene sprecato. Nella fascia di consumo si inizia a comperare qualcosa in più del necessario, ma parallelamente si prediligono scelte di maggior qualità, si selezionano gli acquisti in modo ragionato: "concedersi uno sfizio", dicevano i nostri nonni.
Nella fascia di spreco, e l'Italia ci era dentro da un pezzo come tutti i Paesi cosiddetti avanzati, beni e servizi vengono acquistati in misura largamente maggiore rispetto all'effettivo utilizzo, o cambiati con una frequenza molto superiore alle effettive necessità.
Che si tratti di abbigliamento o di elettronica, di alimentari o di automobili, di orologi o frigoriferi la regola fondamentale è una e una sola: sprecare.
In una società di questo tipo i consumi crescono e si autoalimentano, generando nei produttori l'illusione che il trend crescente possa durare in eterno. Illuminante, da questo punto di vista, il settore dell'auto che ha accumulato una mostruosa sovrapproduzione rispetto alle capacità di assorbimento del mercato.
La crisi ha retrocesso larghe fasce di popolazione dal consumo all'utilizzo e, soprattutto, dallo spreco al consumo: anche chi ha possibilità economiche ha iniziato a riflettere sulla sventatezza insita nel buttare con regolarità cibo scaduto, nell'intasare gli armadi con capi di abbigliamento mai indossati, nel cambiare con ritmo incessante automobili che funzionano a meraviglia e via dicendo.
Ora, convincere uno sprecone a continuare a sprecare è molto più facile che convincere un consumatore consapevole (o tornato a essere consapevole) a ricominciare a sprecare.
Per questo motivo, anche in presenza di una ripresa economica e di un incremento del potere di acquisto, il mercato dovrà fare i conti con modelli di consumo diversi rispetto al passato.
L'economia attraversa cicli che si ripetono nel tempo, con durate diverse ma con caratteristiche simili. A fatica, ma sappiamo come prenderla.
La società, come la natura, evolve senza fare salti: ma una volta completata una fase di evoluzione, non torna sui propri passi.

di: Mattia Losi da MARK-UP

sabato 24 marzo 2012

PROPOSTA PARLAMENTARE PER GLI ORARI DEL COMMERCIO


Presentato un ordine del giorno sul decreto del Governo che si è impegnato a riaprire il tavolo con le Regioni
La deputata Pd, Donella Mattesini, ha presentato un ordine del giorno sulla liberalizzazione degli orari del commercio. Parzialmente accolto dal Governo, consentirà di riattivare il tavolo di confronto con le Regioni.
Due gli elementi fondamentali: "il processo di liberalizzazione non deve penalizzare, bensì salvaguardare, i soggetti più deboli e cioè i piccoli esercizi e quei consumatori che si servono dei negozi di vicinato, tenuto conto che il commercio di prossimità costituisce il tessuto delle nostre città, contribuendo a determinare sicurezza, socialità ed identità".
Pieno sostegno, quindi, al commercio di vicinato che "rappresenta non solo una tradizione imprenditoriale tipica del nostro Paese, ma anche una realtà rilevante dal punto di vista economico ed occupazionale".
Nel suo ordine del giorno, Donella Mattesini sottolinea che "l'ulteriore liberalizzazione ed ampliamento degli orari può risultare utile, anche al fine di rendere più accoglienti e fruibili le città ed i paesi, sia per i cittadini residenti che per i turisti, purché accompagnato da una regolamentazione integrativa che coinvolga gli enti territoriali e che salvaguardi gli elementi di equilibrio per il mantenimento della pluralità del commercio, dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori".
Le Regioni sono, in questa materia, un fondamentale punto di riferimento: "con la legge Costituzionale 3 del 2001 hanno assunto potestà legislativa piena in materia di commercio ed hanno complessivamente ampliato gli elementi di liberalizzazione, in particolare per gli orari ed i turni di chiusura".
Sono quindi chiamate a decidere su un settore estremamente complesso che ha un impatto immediato sui cittadini ma anche coinvolge anche un grande numero di lavoratori: "il terziario occupa circa 3 milioni di lavoratori, di cui il 64% sono donne.
Una liberalizzazione senza strumenti e luoghi di programmazione condivisa rischia di accentuare notevolmente le difficoltà a rendere compatibili tempi di vita e tempi di lavoro e nella gestione degli equilibri familiari, anche a causa dell'assenza di servizi integrati per l'infanzia, per gli anziani e di trasporto".
Secondo Donella Mattesini, in questo quadro, è necessario evitare alcuni rischi. "Il primo è la cannibalizzazione degli esercizi commerciali medio-piccoli, che avranno più difficoltà ad organizzarsi e competere con le grandi strutture dei centri commerciali, con il conseguente degrado del tessuto urbano e sociale dei nostri territori. Il secondo è rappresentato dai problemi conseguenti l'aggravio dei costi indotti dall'apertura sette giorni su sette.
E questo possono determinare effetti negativi sull'occupazione, sulla qualità e dignità del lavoro, sulla possibile ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro nella grande distribuzione".
Nel suo ordine del giorno, Donella Mattesini sottolinea che "la maggiore liberalizzazione degli orari, per essere funzionale e funzionante deve essere inserita all'interno di un disegno complessivo degli orari di una città e di tutti i suoi servizi".
Punto di riferimento normativo è la legge 53 del 2000 la quale stabilisce che le Regioni approvino norme per il coordinamento da parte dei Comuni degli orari dei negozi e che il Piano territoriale degli orari sia uno strumento unitario per finalità ed indirizzi.
Nella sua elaborazione devono essere valutati gli effetti sul traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della vita. Per l'attuazione e la verifica contenuti nel Piano regolatore degli orari, il Sindaco istituisce un tavolo di concertazione cui partecipano: prefetto, presidente Provincia, un dirigente per ciascuna pubblica amministrazione coinvolta, rappresentanti sindacali e degli imprenditori, provveditore agli studi e presidenti delle aziende dei trasporti urbani ed extraurbani. La liberalizzazione degli orari del commercio, deve quindi essere inserita in un piano generale che ridisegni la funzionalità della vita cittadina.
Il Governo ha quindi accolto la richiesta, formulata da Mattesini nell'ordine del giorno, di aprire un tavolo di confronto con le Regioni e gli Enti Locali, necessario alla armonizzazione delle norme relative ai processi di liberalizzazione con le norme contenute nella legge 53.

MONTI VUOLE “ABOLIRE” DIO e I COSIDETTI “MINISTRI CATTOLICI” APPROVANO


Stralci da un POST di Antonio Socci

Monte Mario è una collinetta che sovrasta il Vaticano. Non vorrei che Monti Mario pretendesse di sovrastare Dio stesso, spazzando via, con un codicillo, quattromila anni di civiltà giudaico-cristiana (e pure islamica) imperniata sul giorno del Signore, “Dies Dominicus”.
Il codicillo del governo che “abolisce” Dio (o meglio abolisce il diritto di Dio che è stato il primo embrione dei diritti dell’uomo, come vedremo) è l’articolo 31 del “decreto salva Italia”.

Dove praticamente si decide che dovunque si possono aprire tutti gli esercizi commerciali 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno. Norma che finirà per allargarsi anche all’industria nella quale già è presente questa spinta.

Dunque produrre, vendere e comprare a ciclo continuo. Senza più distinzione fra giorni feriali e festivi (Natale compreso), fra giorno e notte, fra mattina e sera.

Sembra una banale norma amministrativa, invece è una svolta di (in)civiltà perché abolendo la festa comune – e i momenti comuni della giornata – distrugge non solo il fondamento della comunità religiosa, ma l’esperienza stessa della comunità, qualunque comunità, dalla famiglia a quella amicale e ricreativa dello stadio.

Distrugge la sincronia sociale dei tempi comuni e quindi l’appartenenza a un gruppo, a un popolo. Per questo c’è l’opposizione indignata della Chiesa e dei sindacati (pure di associazioni di commercianti).
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La cosa infatti non riguarda solo chi – per motivi religiosi – vede praticamente abolita la domenica, il giorno del Signore.
Riguarda tutti, ci riguarda come famiglie, come comunità locali o particolari. Infatti è vero che ci sono lavori di necessità sociale che sempre sono stati fatti anche la domenica (pure il commercio in località turistiche e in tempi di vacanza). Ma è proprio l’eccezione che conferma la regola.
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La regola di un giorno di festa comune, non individuale, ma comune (sia per la liturgia religiosa che per le liturgie laiche), è infatti ciò che ci permette di riconoscerci.
Ciò che consente di stare insieme ai figli, di vedere gli amici (allo stadio, al mare, in campagna, in bici, a caccia), di ritrovarsi con i parenti, di dar vita ai tanti momenti comuni o associativi.
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Se ai ritmi individuali già forsennati della vita si toglie anche l’unico momento comune della festa settimanale (o, per esempio, del “dopocena”), le famiglie ne escono veramente a pezzi. Tutti diventano conviventi notturni casuali come i clienti di un albergo.
E si dissolvono i “corpi intermedi”, i gruppi e le associazioni in cui l’individuo si realizza.
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Il giorno di festa comune ci ricorda infatti che non siamo solo individui, ma persone con relazioni e rapporti affettivi. Non siamo solo produttori/consumatori, ma siamo padri, madri, figli, fidanzati, siamo amici, siamo appassionati di questo o di quello, apparteniamo a gruppi, comunità, a un popolo.
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La situazione italiana si annuncia come la più dura. Infatti “in nessun Paese europeo esiste che i negozi stanno aperti 24 ore al giorno  e sette giorni su sette. Oltretutto con una decisione piombata dall’alto.
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E’ anche provato, dagli esperimenti fatti finora, che questa devastante trovata non avrebbe alcun beneficio né sull’occupazione, né sui consumi, infatti la gente non compra perché è tartassata dallo stato e dalla recessione, non perché il supermercato è chiuso alla domenica.
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Infatti la Regione Lombardia ha già annunciato ricorso alla Corte Costituzionale contro la norma “ammazza domeniche”. E la seguono a ruota Toscana e Veneto.
Vorrei chiedere pure ai cosiddetti “ministri cattolici” Riccardi, Passera e Ornaghi: com’è stato possibile approvare entusiasticamente una tale assurdità?
Perché una poltroncina val bene una messa? Speriamo di no. Ma se non è così si oppongano a questa norma. Si facciano sentire.

Antonio Socci