La
ripresa dei consumi in Italia è ostacolata da almeno due fattori concomitanti:
il primo è di ordine economico, il secondo attiene invece alla sfera
del comportamento del singolo consumatore e riguarda il mutato
atteggiamento nei confronti dei consumi stessi.
Andiamo
con ordine. L'ostacolo economico è costituito da una progressiva perdita di
reddito negli ultimi anni, e quindi di potere d'acquisto, di gran parte della
popolazione italiana.
Una
tendenza ben visibile, ancor prima della crisi del 2008, per una miscela di
fattori legati alla bassa crescita del Paese e alle distorsioni legate
all'introduzione dell'euro con un rapporto di cambio percepito dai consumatori
(un euro, mille lire) che era di fatto la metà di quello reale.
La
crisi ha quindi aggravato problemi già esistenti: si è allargata la fascia di
popolazione in sofferenza economica, la criticità della quarta settimana si sta
allargando in molti casi alla terza, il ceto medio è arretrato su posizioni di
benessere molto inferiori rispetto al passato. Una tempesta perfetta.
Eppure
il superamento dell'ostacolo economico è operazione fattibile con l'utilizzo di
contromisure ben conosciute.
Difficili
da mettere in pratica, ma note e condivise nelle linee guida: abbattimento
della pressione fiscale, stimoli all'occupazione e in particolare a quella
giovanile, insomma la vecchia ricetta che punta a rimettere soldi nelle tasche
della gente, perché possano essere spesi.
Il
vero terreno minato, dove ci si addentra per la prima volta in situazioni
sconosciute, riguarda invece il mutato atteggiamento dei consumatori: in
particolare di quelli che, senza aver subito reali contraccolpi economici dalla
crisi, hanno deciso comunque di ridurre le proprie spese.
L'acquisto
di beni e servizi, di ogni genere, può infatti essere suddiviso in tre grossi
blocchi: utilizzo, consumo e spreco. Una semplificazione, che però rende bene
l'idea.
Nella
fascia di utilizzo le persone comprano solo quello che effettivamente serve
loro: nulla o quasi viene sprecato. Nella fascia di consumo si inizia a
comperare qualcosa in più del necessario, ma parallelamente si prediligono
scelte di maggior qualità, si selezionano gli acquisti in modo ragionato:
"concedersi uno sfizio", dicevano i nostri nonni.
Nella
fascia di spreco, e l'Italia ci era dentro da un pezzo come tutti i Paesi
cosiddetti avanzati, beni e servizi vengono acquistati in misura largamente
maggiore rispetto all'effettivo utilizzo, o cambiati con una frequenza molto
superiore alle effettive necessità.
Che
si tratti di abbigliamento o di elettronica, di alimentari o di automobili, di
orologi o frigoriferi la regola fondamentale è una e una sola: sprecare.
In
una società di questo tipo i consumi crescono e si autoalimentano, generando
nei produttori l'illusione che il trend crescente possa durare in eterno. Illuminante, da
questo punto di vista, il settore dell'auto che ha accumulato una mostruosa
sovrapproduzione rispetto alle capacità di assorbimento del mercato.
La
crisi ha retrocesso larghe fasce di popolazione dal consumo all'utilizzo e,
soprattutto, dallo spreco al consumo: anche chi ha possibilità economiche ha
iniziato a riflettere sulla sventatezza insita nel buttare con regolarità cibo
scaduto, nell'intasare gli armadi con capi di abbigliamento mai indossati, nel
cambiare con ritmo incessante automobili che funzionano a meraviglia e via
dicendo.
Ora,
convincere uno sprecone a continuare a sprecare è molto più facile che
convincere un consumatore consapevole (o tornato a essere consapevole) a
ricominciare a sprecare.
Per
questo motivo, anche in presenza di una ripresa economica e di un incremento
del potere di acquisto, il mercato dovrà fare i conti con modelli di consumo
diversi rispetto al passato.
L'economia
attraversa cicli che si ripetono nel tempo, con durate diverse ma con
caratteristiche simili. A fatica, ma sappiamo come prenderla.
La
società, come la natura, evolve senza fare salti: ma una volta completata una
fase di evoluzione, non torna sui propri passi.
di:
Mattia Losi da MARK-UP
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