domenica 31 luglio 2011

NO AI COMUNI TURISTICI “MASCHERATI” PER LIBERALIZZARE GLI ORARI DEI NEGOZI

Ordine del giorno del Consiglio generale di Confcommercio Lombardia

No ai comuni turistici “mascherati” per liberalizzare gli orari dei negozi.
Chiesto alla Regione Lombardia di riaffermare i criteri di forte attrattività turistica e di verificare i profili di eventuale incostituzionalità della norma contenuta nella manovra di Governo (introdotta su iniziativa del ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla). La Regione dovrebbe assumere, se vi fossero i presupposti, le iniziative necessarie per dichiararla incostituzionale

Milano, 27 luglio 2011. Il Consiglio generale di Confcommercio Lombardia, composto dai presidenti delle Ascom lombarde e riunitosi nella sede della Confcommercio milanese, ha approvato - con l'unanimità dei presidenti delle Ascom lombarde - un ordine del giorno con il quale si chiede a Regione Lombardia di riaffermare che i comuni turistici sono soltanto quelli a forte attrattività turistica.
Comuni che devono rispondere a precisi criteri già definiti dalla vigente normativa regionale: comuni con impianti sciistici, località rivierasche con un servizio pubblico di navigazione di linea, comuni sedi di stabilimenti termali, centri storici dei capoluoghi di provincia, comuni nell'area degli aeroporti di Malpensa, Linate, Orio al Serio e Montichiari (entro un raggio di 500 metri in linea d'aria a partire dagli accessi al pubblico dello scalo aeroportuale).
Una puntualizzazione necessaria per evitare la corsa ai comuni turisticimascherati” con l'obiettivo di veder liberalizzati gli orari delle attività commerciali così come prevede la norma, introdotta su iniziativa del ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla, contenuta nella manovra economica del Governo.
Una norma che l'ordine del giorno del Consiglio generale di Confcommercio Lombardia critica molto duramente – perché censurabile nel metodo, per la mancata concertazione con le parti interessate, e nel contenuto, rileva Confcommercio Lombardia - chiedendo alla Regione di verificare “profili di eventuale incostituzionalità del provvedimento e, qualora ne ricorrano i presupposti” di assumere le “iniziative necessarie per la dichiarazione di incostituzionalità…”.
“La stessa Corte Costituzionale – si rileva nell'ordine del giorno – ha più volte confermato come la disciplina degli orari rientri nella materia del commercio di competenza esclusiva delle Regioni”.

da: www.confcommerciolombardia.it/tool/home.php?s=0,1,20&dfa=do58&pg=&diditem=3863

COMMERCIO DOMENICALE È «GUERRA» TRA «GRANDI» E «PICCOLI» a Potenza

È un articolo che ricalca una situazione quasi identica alla nostra.

Davide contro Golia. I piccoli negozi che si oppongono allo «strapotere» della grande distribuzione.
A Potenza è in corso una «guerra» sulle aperture domenicali concesse, con un’ordinanza del sindaco, al nuovo polo commerciale di Tito scalo. Situazione che viene letta da molti commercianti, non solo dell’hinterland, come una forma di concorrenza «sleale». Un braccio di ferro a colpi di carte bollate che, per ora, ha prodotto un ricorso del supermercato Pick Up sul quale il Tar ha preso una posizione «pilatesca», non accogliendo, né respingendo la sospensiva, ma rinviando direttamente la decisione nel merito al 4 novembre 2011.
Il ricorso presentato dal supermercato Pick Up ha fatto da prologo a un altro ricorso al Tar da parte dell’Ascom Potenza, con la sottoscrizione di commercianti di Tito, Potenza, Brienza e Pignola.

CONTESTAZIONE - Ascom contesta nel metodo l’ordinanza del sindaco di Tito che ha autorizzato il polo commerciale ad aprire le domeniche di giugno: «Il primo cittadino - si legge nel ricorso - non ha rispettato la procedura prevista dalla legge di effettuare la concertazione con le «associazioni locali dei commercianti, dei consumatori e dei lavoratori dipendenti», per acquisire i pareri obbligatori degli stessi riguardo alle aperture domenicali e festive».
L’Ascom Potenza denuncia «l’atteggiamento antidemocratico di decidere a prescindere dalle valutazioni e dalle osservazioni dei cittadini: commercianti, lavoratori, consumatori rappresentati nei loro interessi dalle associazioni di categoria».

sabato 30 luglio 2011

Piccoli negozi in bergamasca, la crisi continua. L'alimentare crolla di quasi l'8%

Lo stato di salute del commercio continua a preoccupare. Come risulta anche dall'ultima analisi congiunturale della Camera di Commercio, le vendite al dettaglio in Bergamasca registrano ancora un marcato segno negativo.

La flessione si registra nel comparto alimentare (-7,7%), ma anche nel settore non alimentare (-2,4%). Uno scenario che riflette la crisi delle famiglie e la perdita del loro potere d'acquisto.
A complicare ulteriormente questo quadro contribuirà la decisione del governo di liberalizzare totalmente gli orari e le giornate d'apertura degli esercizi commerciali nelle località turistiche e nelle città d'arte, 365 giorni l'anno e 24 ore su 24, festivi compresi.  P.S.

Una deregulation selvaggia che entrerà in vigore il 1° gennaio 2012 e che finirà per favorire ancora una volta la grande distribuzione, senza reali benefici per i consumatori. L'unico effetto sarà, infatti, quello di depauperare ancora di più il tessuto economico urbano, trasferendo alla grande distribuzione importanti quote di consumi, con il risultato di aggravare la crisi del settore e favorire di conseguenza il triste fenomeno delle saracinesche abbassate, sempre più numerose anche a Bergamo e in provincia.

Una tendenza negativa che riflette quella nazionale: secondo una stima di Confesercenti nazionale, la liberalizzazione potrebbe provocare in un triennio la chiusura di 30 mila esercizi su tutto il territorio.

«La deregulation delle aperture non è certamente la via per risolvere i problemi del commercio di vicinato – spiega Giorgio Ambrosioni, presidente di Confesercenti Bergamo – Per questo noi ci opporremo all'entrata in vigore delle nuove norme, chiedendo alla giunta regionale di approvare ordini del giorno tesi a contrastare un provvedimento così dannoso per la sopravvivenza delle nostre botteghe».

I piccoli negozi, ribadisce Confesercenti, mantengono una funzione sociale importantissima, contribuendo alla vitalità dei centri storici e dei quartieri periferici. Inoltre, svolgono un servizio essenziale per le categorie deboli, che hanno la necessità di poter fare la spesa sotto casa.
«Il commercio di vicinato merita maggior sostegno e attenzione, oltre ad azioni mirate e concrete – continua Ambrosioni –. L'istituzione dei Distretti è un primo passo nella giusta direzione, che però rischia di essere vanificato da provvedimenti erroneamente valutati come liberalizzatori.
In realtà si finisce solo per penalizzare le piccole imprese, che al pari delle famiglie sono sempre più schiacciate dal perdurare della crisi. E' il momento di chiedere anche ad altri i necessari sacrifici. La nostra categoria ne ha già sopportati a sufficienza».

Postato da un’articolo pubblicato il 27/07/2011 da www.ecodibergamo.it

P.S. Ad Antegnate e dintorni (che non sono località turistiche e ne città d'arte) le amministrazioni locali, fortemente subordinate agli interessi della GDO e ignorando i piccoli commercianti, hanno purtroppo addirittura anticipato le decisioni del governo e usando a sproposito la legge regionale sui Distretti del Commercio hanno concesso l’apertura domenicale e festiva per quasi tutto l’anno del centro commerciale di Antegnate. (48 domeniche)

L'ordinanza con la quale si concede l'apertura:

domenica 24 luglio 2011

LA DOMENICA NON SI “VENDE”

La lega Consumatori è impegnata da anni, con il suo movimento “la domenica non si vende”, nella campagna di liberazione della domenica come giorno di festa.
A puntare sull’apertura festiva continua delle attività commerciali in Italia è da anni la grande distribuzione, spalleggiata da alcune organizzazioni sindacali che per lungo tempo non si sono opposte gran che alla marcia di occupazione della domenica e ancor meno le forze politiche.

Quest’anno si è verificato un fatto nuovo: il primo maggio ”festa del lavoro” e quindi giorno di riposo di tutta la gente che lavora ha subito la pressione mediatica e interessata, perché fosse giorno di lavoro e non di festa.
Motivo? Lavorare è necessario per uscire dalla crisi. Nel nome della modernità ma, di fatto, in alleanza con la grande distribuzione e anche con interventi istituzionali come quello del sindaco di Firenze l’apertura di domenica primo maggio ha fatto esplodere un fenomeno sociale e umano sommerso: quello dei lavoratori del commercio costretti a sacrificare la domenica.

giovedì 14 luglio 2011

Kennedy e il PIL

A proposito di valori ....... ho trovato e volentieri pubblico.
Nessun messaggio politico.
Soltanto riflessioni valide in ogni tempo…

Il 18 Marzo del 1968 Robert Kennedy pronunciava un discorso, presso l’università del Kansas, nel quale evidenziava l’inadeguatezza del PIL (Prodotto Interno Lordo) come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate.
Le sue parole fecero il giro del mondo e si accesero i riflettori sul problema coinvolgendo anche studiosi europei.
Già prima, comunque, ci si era resi conto che “qualità della vita” e “crescita economica” non sono fattori direttamente proporzionali e che per migliorare la qualità non è sufficiente aumentare la crescita.
Per capirci il benessere di una persona non può essere calcolato in base a quanto guadagna, a quanti prodotti acquista, ma dipende anche e soprattutto da quanto riesce a realizzare se stesso.

Discorso di Robert Kennedy, 18 marzo 1968, Università del Kansas

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL).
Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle.
Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini.
Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago.
Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.
Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi.
Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.”