domenica 24 luglio 2011

LA DOMENICA NON SI “VENDE”

La lega Consumatori è impegnata da anni, con il suo movimento “la domenica non si vende”, nella campagna di liberazione della domenica come giorno di festa.
A puntare sull’apertura festiva continua delle attività commerciali in Italia è da anni la grande distribuzione, spalleggiata da alcune organizzazioni sindacali che per lungo tempo non si sono opposte gran che alla marcia di occupazione della domenica e ancor meno le forze politiche.

Quest’anno si è verificato un fatto nuovo: il primo maggio ”festa del lavoro” e quindi giorno di riposo di tutta la gente che lavora ha subito la pressione mediatica e interessata, perché fosse giorno di lavoro e non di festa.
Motivo? Lavorare è necessario per uscire dalla crisi. Nel nome della modernità ma, di fatto, in alleanza con la grande distribuzione e anche con interventi istituzionali come quello del sindaco di Firenze l’apertura di domenica primo maggio ha fatto esplodere un fenomeno sociale e umano sommerso: quello dei lavoratori del commercio costretti a sacrificare la domenica.

 La reazione è stata forte da parte di alcune organizzazioni sindacali, ma sono in gioco forti interessi e la chiusura domenicale è contrastata con due argomentazioni che meritano di essere commentate. La prima: opporsi alla generale apertura dei supermercati la domenica sarebbe contro le liberalizzazioni come se esse avessero valore in se sganciate da obiettivi e da valori.
Si tende a ignorare che da quando si è introdotta la settimana corta, è a disposizione tutto il sabato per gli acquisti e rispetto al passato la dotazione del frigorifero non rende necessario da qualche tempo la ricerca impellente del negozio aperto la domenica.
La seconda obiezione: i sostenitori della “domenica non si vende” sarebbero addirittura sostenitori della teoria della decrescita cara al guru francese Serge Latouche per contestare radicalmente il consumismo. In realtà nei sostenitori de “la domenica non si vende” non c’è nessun riferimento a posizioni ideologiche di decrescita semmai a principi attinenti la scelta opportuna di uno stile di vita personale e famigliare sobrio e solidale.

Liberare la domenica come giorno dell’uomo (della persona e della famiglia) e per i credenti come giorno del Signore vuol dire innanzitutto non indulgere a posizioni velleitarie e demagogiche.
Non sono in discussione i lavori domenicali di servizio alle persone, alle famiglie nelle strutture sanitarie e nelle strutture di servizio culturale ricreativo, di tempo libero e di festa.
Sono invece in discussione le attività commerciali esperibili agevolmente nei giorni feriali, negli orari allungati, il sabato e in Lombardia in ventidue domeniche all’anno già decise dalla legge.

Qui si tratta di una mole di attività, dove il lavoro domenicale coinvolge a fondo l’organizzazione familiare. Le lavoratrici nei supermercati sono il 70 per cento del personale, molte sono madri e la loro assenza da casa nei giorni festivi crea scompensi e accentua le difficoltà delle famiglie.
E’ assai difficile far coincidere tra moglie e marito i giorni di riposo compensativo e i figli durante la settimana vano a scuola.
La festa e la domenica sono luogo e spazio insostituibile per la persona, di recupero del rapporto con se stesso e con gli altri, la possibilità di coltivare l’arte, la cultura, l’impegno sociale.

La rinuncia al riposo domenicale che si è imposto come fenomeno sociale è fatta in nome di che cosa: dei vantaggi per i consumatori che così possono diluire i loro acquisti oltre il sabato e gli orari serali.
Va rilevato che tale diluizione non attiene delle necessità nel qual caso meriterebbero sacrifici ma essenzialmente il superfluo e il rimandabile; dei vantaggi per le grandi catene di distribuzione ma anche questo, pur nel rispetto del libero mercato, va valutato in rapporto all’impatto che produce sull’ambiente territoriale e sulle persone e la comunità locale.
Questo deve interpellare le istituzioni e in particolare l’Amministrazione Civica e la Regione .
Esse si devono interrogare a fondo al verificarsi di manifestazioni di consumismo e di commercializzazione esasperata della domenica che provoca danni gratuiti per l’ambiente e sprechi di beni e di prodotti e che pongono seriamente il problema di valenza anche civica degli acquisti inutili e dannosi e di riorientamento dei consumi e delle abitudini organizzate.

Sunto tratto da una lettera della LEGA CONSUMATORI pubblicata il 1° Maggio 2011

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