Confesercenti,
dopo la raccolta firme per dare vita a una legge di iniziativa popolare contro
le aperture domenicali degli esercizi, chiede che la competenza sugli orari di
apertura venga ridata alle Regioni
Dopo il successo della raccolta firme contro l'apertura
domenicale dei negozi, promossa a livello nazionale
dalla Cei
(Conferenza episcopale italiana) e dalla Confesercenti,
i vertici di via Mercantini si rivolgono direttamente alla politica.
«Ci auguriamo che Roberto Maroni – dice Gianni Lucchina,
direttore di Confesercenti Varese – applichi integralmente quanto affermato nel
suo programma (pagina 32 ndr) per il commercio,
compresa la restituzione alle Regioni della competenza sugli orari di apertura
dei negozi».
In realtà la
Regione Lombardia qualcosa aveva già fatto per evitare lo
spopolamento dei centri urbani con lo stanziamento di 12 milioni di euro per i
distretti del commercio, progetto che avrebbe però dovuto avere un assist anche
dalle politiche sui singoli territori per poter risultare vincente in un
momento di crisi come quella che si sta attraversando.
Fuori dalle parrocchie e negli uffici comunali in
provincia di Varese sono state raccolte oltre
1000 firme (l'obiettivo era di 600), entro il 16 maggio andranno
presentate in Parlamento per attivare l'iter della legge di iniziativa popolare
contro la
liberalizzazione degli orari (decreto voluto da Pierluigi Bersani).
«Questa liberalizzazione – aggiunge
Cesare Lorenzini, presindente di Confesercenti Varese –
non ha prodotto risultati utili fin dalla sua introduzione e a maggior ragione
non li rpoduce adesso che siamo in piena recessione economica. Se ho cento euro
in tasca o li spendo al lunedì o alla domenica».
«Il vero paradosso – aggiunge Lucchina – è che
nemmeno alla grande distribuzione conviene questo modello perché i costi di
gestione per tenere aperto la domenica sono altissimi».
I dati sulle mortalità degli esercizi sono
drammatici: 170 chiusure
al giorno a livello nazionale, dato che secondo Lucchina è
destinato ad aggravarsi nei prossimi anni – sono infatti previste 80 mila chiusure - se
non verranno presi provvedimenti immediati da parte del governo.
La concertazione tra le parti sociali in questa
provincia, nonostante tutto, funziona ancora bene. A sostenere l'appello di
Confesercenti ci sono infatti i rappresentanti di categoria della Fisascat
Cisl, della Filcams Cgil
e della UilTucs. «La liberalizzazione indiscriminata degli
orari– spiega Pino Pizzo
della Cgil – non solo non ha risolto il problema del modello
distruibutivo, ma oltre ad aver messo in ginocchio le piccole imprese,
desertificando i centri urbani, ha introdotto una cultura deteriore che
porta le famiglie a trascorrere il loro tempo libero nei grandi centri
commerciali».
Le cose non migliorano sul fronte dell'occupazione:
se le previsioni delle associazioni di categoria verrranno confermate e non si
inverterà la tendenza, nei prossimi anni in Italia nel settore del commercio si
bruceranno 240 mila
posti di lavoro. «L'occupazione persa con la chiusura dei
piccoli negozi – sottolinea Fabrizio
Ferrari della Cisl
– non è stata recuperata con i grandi centri commerciali. La
liberalizzazione è stata la scelta disperata di chi non sapeva come uscire
dalla crisi e non certamente una richiesta che proveniva dai cittadini».
Secondo Alessandro
Sanhueza della Uil
il rischio è grave se si pensa alle conseguenze culturali di
questo sistema. «C'è stata una profonda immaturità da parte di chi gestisce la
grande distribuzione perché le aperture domenicali hanno provocato un
impoverimento sociale e civile delle città. Chi ha avuto questa idea pensava
agli Usa che hanno una tradizione diversa da quella italiana ed europea».
I grandi gruppi da parte loro si sono già
organizzati per saturare tutti gli spazi lasciati liberi nelle città dopo la
chiusura di molti negozi. Ad esempio, a Varese al posto del Blockbuster ha aperto
un city store
“Essere e benessere”
che ha tra i soci di minoranza il Gruppo
Unes. «A Varese negli ultimi – conferma Lucchina – c'è questa
tendenza. È la cartina di tornasole di quanto noi andiamo dicendo da tempo: è
il centro della città il cuore pulsante del commercio».