sabato 24 marzo 2012

MONTI VUOLE “ABOLIRE” DIO e I COSIDETTI “MINISTRI CATTOLICI” APPROVANO


Stralci da un POST di Antonio Socci

Monte Mario è una collinetta che sovrasta il Vaticano. Non vorrei che Monti Mario pretendesse di sovrastare Dio stesso, spazzando via, con un codicillo, quattromila anni di civiltà giudaico-cristiana (e pure islamica) imperniata sul giorno del Signore, “Dies Dominicus”.
Il codicillo del governo che “abolisce” Dio (o meglio abolisce il diritto di Dio che è stato il primo embrione dei diritti dell’uomo, come vedremo) è l’articolo 31 del “decreto salva Italia”.

Dove praticamente si decide che dovunque si possono aprire tutti gli esercizi commerciali 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno. Norma che finirà per allargarsi anche all’industria nella quale già è presente questa spinta.

Dunque produrre, vendere e comprare a ciclo continuo. Senza più distinzione fra giorni feriali e festivi (Natale compreso), fra giorno e notte, fra mattina e sera.

Sembra una banale norma amministrativa, invece è una svolta di (in)civiltà perché abolendo la festa comune – e i momenti comuni della giornata – distrugge non solo il fondamento della comunità religiosa, ma l’esperienza stessa della comunità, qualunque comunità, dalla famiglia a quella amicale e ricreativa dello stadio.

Distrugge la sincronia sociale dei tempi comuni e quindi l’appartenenza a un gruppo, a un popolo. Per questo c’è l’opposizione indignata della Chiesa e dei sindacati (pure di associazioni di commercianti).
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La cosa infatti non riguarda solo chi – per motivi religiosi – vede praticamente abolita la domenica, il giorno del Signore.
Riguarda tutti, ci riguarda come famiglie, come comunità locali o particolari. Infatti è vero che ci sono lavori di necessità sociale che sempre sono stati fatti anche la domenica (pure il commercio in località turistiche e in tempi di vacanza). Ma è proprio l’eccezione che conferma la regola.
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La regola di un giorno di festa comune, non individuale, ma comune (sia per la liturgia religiosa che per le liturgie laiche), è infatti ciò che ci permette di riconoscerci.
Ciò che consente di stare insieme ai figli, di vedere gli amici (allo stadio, al mare, in campagna, in bici, a caccia), di ritrovarsi con i parenti, di dar vita ai tanti momenti comuni o associativi.
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Se ai ritmi individuali già forsennati della vita si toglie anche l’unico momento comune della festa settimanale (o, per esempio, del “dopocena”), le famiglie ne escono veramente a pezzi. Tutti diventano conviventi notturni casuali come i clienti di un albergo.
E si dissolvono i “corpi intermedi”, i gruppi e le associazioni in cui l’individuo si realizza.
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Il giorno di festa comune ci ricorda infatti che non siamo solo individui, ma persone con relazioni e rapporti affettivi. Non siamo solo produttori/consumatori, ma siamo padri, madri, figli, fidanzati, siamo amici, siamo appassionati di questo o di quello, apparteniamo a gruppi, comunità, a un popolo.
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La situazione italiana si annuncia come la più dura. Infatti “in nessun Paese europeo esiste che i negozi stanno aperti 24 ore al giorno  e sette giorni su sette. Oltretutto con una decisione piombata dall’alto.
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E’ anche provato, dagli esperimenti fatti finora, che questa devastante trovata non avrebbe alcun beneficio né sull’occupazione, né sui consumi, infatti la gente non compra perché è tartassata dallo stato e dalla recessione, non perché il supermercato è chiuso alla domenica.
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Infatti la Regione Lombardia ha già annunciato ricorso alla Corte Costituzionale contro la norma “ammazza domeniche”. E la seguono a ruota Toscana e Veneto.
Vorrei chiedere pure ai cosiddetti “ministri cattolici” Riccardi, Passera e Ornaghi: com’è stato possibile approvare entusiasticamente una tale assurdità?
Perché una poltroncina val bene una messa? Speriamo di no. Ma se non è così si oppongano a questa norma. Si facciano sentire.

Antonio Socci

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