Stralci
da un POST di Antonio Socci
Monte
Mario è una collinetta che sovrasta il Vaticano. Non vorrei che Monti Mario
pretendesse di sovrastare Dio stesso, spazzando via, con un codicillo,
quattromila anni di civiltà giudaico-cristiana (e pure islamica) imperniata sul
giorno del Signore, “Dies Dominicus”.
Il
codicillo del governo che “abolisce” Dio (o meglio abolisce il diritto di Dio
che è stato il primo embrione dei diritti dell’uomo, come vedremo) è l’articolo
31 del “decreto salva Italia”.
Dove
praticamente si decide che dovunque si possono aprire tutti gli esercizi
commerciali 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno. Norma che finirà per allargarsi
anche all’industria nella quale già è presente questa spinta.
Dunque
produrre, vendere e comprare a ciclo continuo. Senza più distinzione fra giorni
feriali e festivi (Natale compreso), fra giorno e notte, fra mattina e sera.
Sembra
una banale norma amministrativa, invece è una svolta di (in)civiltà perché
abolendo la festa comune – e i momenti comuni della giornata – distrugge non
solo il fondamento della comunità religiosa, ma l’esperienza stessa della
comunità, qualunque comunità, dalla famiglia a quella amicale e ricreativa dello
stadio.
Distrugge
la sincronia sociale dei tempi comuni e quindi l’appartenenza a un gruppo, a un
popolo. Per questo c’è l’opposizione indignata della Chiesa e dei sindacati
(pure di associazioni di commercianti).
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La cosa
infatti non riguarda solo chi – per motivi religiosi – vede praticamente
abolita la domenica, il giorno del Signore.
Riguarda
tutti, ci riguarda come famiglie, come comunità locali o particolari. Infatti è
vero che ci sono lavori di necessità sociale che sempre sono stati fatti anche
la domenica (pure il commercio in località turistiche e in tempi di vacanza).
Ma è proprio l’eccezione che conferma la regola.
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La
regola di un giorno di festa comune, non individuale, ma comune (sia per la
liturgia religiosa che per le liturgie laiche), è infatti ciò che ci permette
di riconoscerci.
Ciò che
consente di stare insieme ai figli, di vedere gli amici (allo stadio, al mare,
in campagna, in bici, a caccia), di ritrovarsi con i parenti, di dar vita ai
tanti momenti comuni o associativi.
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Se ai ritmi
individuali già forsennati della vita si toglie anche l’unico momento comune
della festa settimanale (o, per esempio, del “dopocena”), le famiglie ne escono
veramente a pezzi. Tutti diventano conviventi notturni casuali come i clienti
di un albergo.
E si
dissolvono i “corpi intermedi”, i gruppi e le associazioni in cui l’individuo
si realizza.
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Il
giorno di festa comune ci ricorda infatti che non siamo solo individui, ma
persone con relazioni e rapporti affettivi. Non siamo solo
produttori/consumatori, ma siamo padri, madri, figli, fidanzati, siamo amici,
siamo appassionati di questo o di quello, apparteniamo a gruppi, comunità, a un
popolo.
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La
situazione italiana si annuncia come la più dura. Infatti “in nessun Paese
europeo esiste che i negozi stanno aperti 24 ore al giorno e sette giorni su sette. Oltretutto con una
decisione piombata dall’alto.
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E’
anche provato, dagli esperimenti fatti finora, che questa devastante trovata
non avrebbe alcun beneficio né sull’occupazione, né sui consumi, infatti la
gente non compra perché è tartassata dallo stato e dalla recessione, non perché
il supermercato è chiuso alla domenica.
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Infatti
la Regione Lombardia ha già annunciato ricorso alla Corte Costituzionale contro
la norma “ammazza domeniche”. E la seguono a ruota Toscana e Veneto.
Vorrei
chiedere pure ai cosiddetti “ministri cattolici” Riccardi, Passera e Ornaghi:
com’è stato possibile approvare entusiasticamente una tale assurdità?
Perché
una poltroncina val bene una messa? Speriamo di no. Ma se non è così si
oppongano a questa norma. Si facciano sentire.
Antonio
Socci
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