martedì 24 gennaio 2012

LIBERALIZZAZIONI. CENTRI COMMERCIALI SEMPRE APERTI, E LA CRISI AUMENTA

Fra le misure di sostegno economico previste dal nuovo governo Monti, figura anche la liberalizzazione degli orari di apertura delle attività commerciali. Il rischio però è quello di penalizzare lavoratori e piccoli esercizi commerciali, schiacciati dalla Grande Distribuzione.
Ancora una volta, per uscire dalla crisi si stimolano i consumi. Eppure il meccanismo malato dell'attuale sistema è proprio il consumismo sfrenato.

Andiamo con ordine. Già la manovra finanziaria dello scorso anno, la legge 111 del luglio 2011 emanata dal Governo Berlusconi, prevedeva una serie di misure volte a deregolamentare gli orari e i giorni di apertura delle attività commerciali, eliminando di fatto quasi ogni paletto, dalla chiusura domenicale alla mezza giornata settimanale, fino ai periodi di ferie.
Era però prevista una rilevante limitazione, che circoscriveva l’applicabilità del provvedimento alle sole città di interesse turistico.

La recente manovra del Governo Monti ha recepito e riproposto le disposizioni in termini di orario, eliminando però anche quest’ultimo paletto: dal 2 gennaio del 2012 infatti, per gli enti locali italiani è partito un conto alla rovescia di novanta giorni, il tempo che hanno a disposizione per adeguare le direttive in merito alle aperture degli esercizi commerciali nei territori di loro competenza.

Ma oltre agli scontri tra favorevoli e contrari, quali potrebbero essere le conseguenze della deregulation? In realtà la spiegazione è molto semplice e si collega a una situazione che ormai da anni caratterizza lo stile di consumo degli italiani e degli occidentali in generale, sempre più attratti dai grandi centri di consumo – le strutture della Grande Distribuzione Organizzata –, che stanno deterritorializzando l’economia, non solo assorbendo ricchezza dal tessuto locale senza poi lì reinvestirla, ma modificando anche le abitudini, gli stili e la cultura degli abitanti del territorio, introducendo nuovi modelli senza radici né identità.
Questi centri stanno ridisegnando la conformazione stessa delle nostre aree urbane, che vengono spartite fra l’uno e l’altro in base ai bacini commerciali, e sostituendo gradualmente i tradizionali luoghi di socialità e aggregazione delle città – strade, parchi, bar, musei, cinema, teatri e così via – a cui propongono alternative posticce, 'piazze virtuali' che hanno il solo scopo di costituire un luogo di decompressione fra un negozio e l’altro e si inseriscono in un percorso di consumo studiato a tavolino.

Un esempio concreto di questa situazione è fornito da quella che è già stata definita 'cittadella dello shopping', una porzione del Comune di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, letteralmente colonizzata dalle ciclopiche strutture della GDO. Centro Meridiana, Shopville Gran Reno, Ikea e Leroy Merlin sono le firme di punta di questo distretto, che già si frega le mani pregustando il boom che la liberalizzazione potrà portare.

Le stime del direttore di Shopville Gran Reno prevedono un milione di presenze aggiuntive e un numero di domeniche di apertura che passerà dalle sedici attuali a quarantotto.
L’altra faccia della medaglia parla di quasi duemila dipendenti mobilitati per far fronte ai nuovi orari, con i sindacati che già promettono battaglia.
Preoccupatissimo il sindaco di Casalecchio Gamberini, che teme che questo sarà il colpo di grazia per gli esercizi storici del territorio, che già versano in condizioni critiche.

Sembra quindi questo l’effetto più probabile della manovra di Monti: allargare ancora di più la forbice fra la GDO e le attività commerciali tradizionali.
Oltre alla colpevole sconsideratezza dei rappresentanti governativi, però, ritengo opportuno sottolineare un altro dato preoccupante, simboleggiato da quel settanta per cento di intervistati che si è dichiarato favorevole alla liberalizzazione: diventeremo quindi come gli americani, svuoteremo le nostre città per passare i fine settimana chiusi in centri commerciali a fare shopping e sfamarci in qualche fast-food?

Ci lasceremo raggirare da un meccanismo economico che drena la ricchezza del territorio esportandola altrove e quindi impoverendo sempre più il territorio stesso?
La trappola tesa dai nostri nuovi rappresentanti istituzionali ha questo scopo, cerchiamo quindi di fare in modo che quel trenta per cento di contrari diventi l’ottanta, il novanta, il cento per cento. Diversamente il decreto 'salva Italia' non farà altro che affossare sempre di più il nostro Paese. D’altra parte, com’è possibile pensare di risollevare stimolando i consumi un sistema il cui male peggiore è proprio il consumismo sfrenato?

Tratto da: il cambiamento.it di Francesco Bevilacqua - 23 Gennaio 2012

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