sabato 16 aprile 2011

APERTURE DOMENICALI DELLE ATTIVITÀ COMMERCIALI: LA FESTA NON SI VENDE

Alzare le saracinesche la domenica ha ridisegnato in modo latente e profondo lo stile di vita di molti, che, nell’arco degli ultimi dieci anni, hanno progressivamente sostituito ai  luoghi tradizionali del tempo libero, come piazze e giardini, le seriali corsie di un ipermercato.
E’ forse l’appendice più malata di quella che Pasolini aveva già definito, circa un cinquantennio fa, come ‘mutazione antropologica’, in altre parole un assottigliamento sempre più drammatico della mente umana all’unica e omologata dimensione del consumatore.
Al riguardo si è tenuto da poco un incontro voluto da FILCAMS, sindacato di categoria della CGIL, con il provocatorio titolo “La festa non si vende”.
Al centro del dibattito c’è stato il confronto sulla legge regionale pugliese sulla liberalizzazione delle aperture domenicali degli esercizi commerciali, che ha visto a sorpresa l’accordo di tutte le parti invitate a esprimersi. Dalle dichiarazioni fatte, CGIL FILCAMS Confcommercio e Confesercenti, infatti, sembrano muoversi nella stessa direzione, con l’intento di abrogare la legge che, unica nel suo genere in Italia, è intervenuta non solo nei costumi dei pugliesi ma ha anche contribuito a rendere impari la concorrenza tra piccola media e grande distribuzione.
Il problema principale, come ha illustrato il presidente della Camera del Commercio di Bari davanti al tacito assenso dei presenti, è che “i signori della grande distribuzione” sono dei commercianti e, com’è ovvio, hanno spinto la politica verso queste strategie, consapevoli del fatto che i venditori al dettaglio non avrebbero potuto competere e che sarebbero rimasti soli sul mercato dei giorni festivi. Stando così le cose il guadagno è di certo considerevole, oltre che garantito.
Questa strategia, dunque, non avvalla un piano consapevole di crescita economica complessiva per la regione, né favorisce gli acquisti in maniera responsabile, ma crea semplicemente delle corsie preferenziali di incassi per le grandi imprese.
A differenza dei tradizionali negozi, infatti, i megastore sono gli unici a poter contare su ampi cicli di turnazione dei dipendenti (cosa che, per altro, contribuisce ad alimentare il vortice della precarietà contrattuale), su accattivanti campagne pubblicitarie che garantiscono buoni sconti nei giorni festivi, e su ampie fasce di clientela dell’hinterland che, grazie ai grandi parcheggi e agli orari continuati, sono magneticamente attratte.
Ma, se tutte le attività commerciali fossero in grado di aprire la domenica – ha proseguito il presidente – non ci sarebbe alcun vantaggio. Anzi, ci sarebbe un probabile aumento dei costi mentre i guadagni resterebbero uguali, spalmati su sette giorni anziché su sei.
Nel Comune di Bari, rispetto alla precedente giunta, sono stati mossi dei passi a favore della tutela dei diritti dei lavoratori. Le cinquantadue domeniche di apertura previste dalla scorsa legislazione comunale sono state ridotte a una trentina dall’attuale sindaco.
Ma non si è ancora arrivati a un accordo soddisfacente. Secondo sindacati e Confcommercio, infatti, le domeniche lavorative, nell’ambito del commercio, devono rappresentare solo una fortuita e giustificata eccezione.  Occorre dunque modificare quanto prima la legge regionale.
Lo stesso sindaco, presente al dibattito, è intervenuto a sostegno di queste posizioni, lamentando anche una certa disparità nell’organizzazione della vita domenicale così incentivata:
Si possono anche cambiare i piani di riposo-veglia ma mi rifiuto di farlo solo in funzione del commercio.
Perché i negozi devono restare aperti di domenica mentre altri servizi come gli orari delle corse degli autobus o i turni degli operatori ecologici sono ridotti?
Perché le banche restano chiuse?
La domenica ha la stessa rilevanza dell’articolo 18, va difesa come lo statuto dei lavoratori.

Pensieri tratti da un articolo pubblicato da www://quotidianodibari.it
di Lucia De Crescenzio

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