giovedì 3 febbraio 2011

IL CENTRO COMMERCIALE E I BISOGNI INDOTTI

Purtroppo, nella Bassa Bergamasca, i livelli della grande distribuzione sono cresciuti in maniera abnorme, (l’ambito territoriale della Bassa ha un indice distorto nel rapporto tra numero di abitanti e grandi superfici di vendita) e sono stati realizzati centri commerciali non tanto per un’effettiva domanda di mercato del bacino d’utenza, ma per soddisfare altri interessi.
Mi auguro che anche da noi, il dibattito sulla “necessità” di aumentare i giorni di apertura domenicale dei centri commerciali, evolva verso una più ampia discussione di tutta la società civile sui modelli di sviluppo sociale cui puntare e non si accetti senza discutere le azioni della G.D.O.
L'eccessiva e sregolata (o perlomeno poco regolata) forzatura di aperture festive dei centri commerciali non è certo solo un problema della bassa Bergamasca, perché riguarda altre aree dell’Italia.
È chiaro che, per dimensioni e impatto sociale (oltre che territoriale) la questione dei giganti della distribuzione si pone come uno dei punti nel dibattito riguardo al percorso che la società compie verso il futuro.
Il punto è che, diversamente dalla maggior parte dei protagonisti del sistema economico, la grande distribuzione va ben al di là dei "sacri" meccanismi di domanda e offerta: l'apertura di un centro commerciale la domenica è un'offerta economica che non va a ovviare a un bisogno effettivamente percepito dalla popolazione (ad eccezione dei pur numerosi "feticisti dello shopping"), ma tende più che altro a... creare questo bisogno.
Non sembra cioè che sia radicato nella gente in genere un reale bisogno di acquisti la domenica, eppure, sistematicamente avviene il pienone quando un centro commerciale è aperto di domenica.
Questo fenomeno, che avviene dappertutto, trova le sue motivazioni in meccanismi della mente umana che non possono certo essere qui né analizzati, né meno ancora disvelati.
Resta il fatto che, in parole povere, se c'è l'ipermercato la "gente" tende ad andarci in massa, ma se esso non c'è la "gente" vive benissimo lo stesso.
E, anche in termini di consenso, appare difficile che limiti all’apertura domenicale, e anche vincoli alla diffusione e realizzazione dei centri commerciali, possano essere male accolti dalla maggior parte della popolazione, al di là della nicchia dei "consumatori compulsivi" sopra evidenziata.
Insomma il tema della gestione delle aperture festive, alla luce delle pressioni della Grande Distribuzione Organizzata è entrato anche nella vita sociale della gente.
E qui non è tanto in discussione la "libertà" e la capacità delle persone di vivere la propria vita (e i propri momenti di relax) nel modo che si sono scelte, perché - anche se pure qui sarebbero tante le cose da dire - è indubitabile che chi preferisce passare le festività sotto le luci artificiali di un centro commerciale invece che all'aria aperta o tra le mura di un museo deve continuare a vedersi garantito questo "diritto", che in Lombardia è già ampiamente soddisfatto con 22 domeniche all’anno di aperture legali.
E comunque, ben più importante è il dovere (che compete alla politica) di pianificare e gestire il territorio in maniera armonica e sostenibile anche con la salvaguardia del piccolo commercio, senza farsi (più) abbagliare dalle luci della grande distribuzione e della sua principale ratio sociale ed economica, e cioè la creazione di nuovi bisogni.
Ricordo che le aperture festive concorrono lentamente a ridurre gli spazi di mercato del commercio di vicinato e ne accelerano il declino, minando la possibilità di mantenere una presenza significativa, per molti aspetti considerata imprescindibile anche dal punto di vista sociale nel territorio.
Ritengo sia altrettanto utile rammentare come, la diffusione capillare dei negozi di vicinato, costituisca un servizio indispensabile e apprezzato dai consumatori e rappresenti un presidio fondamentale per un efficace contrasto al degrado urbano.

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