mercoledì 9 febbraio 2011

APERTURE DOMENICALI - CAMBIATI I RITMI

Pubblico un articolo di Francesca Ieracitano, docente di Analisi dei consumi e ricercatore in sociologia dei processi culturali e comunicativa

L’esigenza di aprire i negozi la domenica sottende dei cambiamenti all’interno delle nostre società?
Il Domani Andriese lo ha chiesto a Francesca Ieracitano, docente di Analisi dei consumi e ricercatore in sociologia dei processi culturali e comunicativi Università Lumsa di Roma.
Le aperture domenicali sono diventate una prassi nel periodo natalizio ma nel resto dell’anno qualche volta creano polemiche.
Sono una possibilità in più di shopping per i consumatori e di vendite per i commercianti? O sono una specie di costrizione?
 “La questione, a mio parere, richiede l’adozione di una prospettiva di lettura un po’ più ampia che tenga conto di come sono cambiati i ritmi di vita nella società contemporanea. Oggi potrebbe essere quasi paradossale considerare l’ampliamento dell’orario di apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi come “una possibilità in più per i consumatori”. Il paradosso sta nel fatto che questa possibilità in più, in realtà rappresenta l’unica alternativa possibile per una larga fetta di consumatori i cui orari di lavoro si sovrappongono totalmente agli orari di apertura e chiusura della maggioranza degli esercizi commerciali.
Ne consegue che per molte persone il giorno libero dalle attività lavorative diviene l’unico giorno possibile in cui poter effettuare acquisti.
Pertanto non parlerei di costrizione, quanto piuttosto di “un miraggio temporale”: abbiamo la percezione di avere più tempo a disposizione per svolgere le nostre attività quotidiane, siano esse lavorative, di consumo, di ozio non tenendo conto che in realtà esse finiscono col sovrapporsi le une alle altre azzerando così queste chance temporali. 
In questo modo ci ritroviamo fortemente condizionati da“ritmi nascosti” che regolano il nostro vivere sociale e ne influenzano l’organizzazione anche a livello individuale”.
Possono rappresentare anche una sorta di marketing territoriale, attirando nella propria città consumatori da comuni limitrofi?
“Senza dubbio oggi l’istituzione o l’apertura nei giorni festivi dei luoghi del consumo come outlet, centri commerciali e grandi catene di negozi sembra essere diventata la forme di intervento più immediata per risolvere il problema della riqualificazione di aree territoriali, magari più problematiche o periferiche.
Tuttavia, questo denota uno spostamento delle aree di competenza nella gestione dello spazio urbano dalla sfera pubblica e politica a quella del mercato.
Fino a qualche tempo fa la riqualificazione di un territorio avveniva tramite l’istituzione di centri ed iniziative culturali o strutture di aggregazione giovanile.
Oggi sembra che l’apertura domenicale di aree commerciali sia la soluzione più rapida e indolore, capace di mettere d’accordo gli interessi di imprese, cittadini e amministrazioni locali per restituire vitalità ad aree territoriali che altrimenti richiederebbero forme di intervento molto più complesse per incrementare l’attrattività del territorio”.
La aperture domenicali posso cambiare le nostre abitudini al consumo oppure sono la risultanza di qualche altra trasformazione all’interno della nostra società?
L’apertura domenicale dei negozi è senz’altro una tendenza rappresentativa della trasformazione culturale che ha investito il significato sociale del consumo.
E’ la dimostrazione di come il consumo ormai si sia svincolato da ogni logica di utilitarismo per diventare un’attività ludica, una forma di svago contemporaneo che si va ad aggiungere, o in molti casi a sostituire, alle attività più canoniche con le quali eravamo abituati a riempire il nostro tempo libero domenicale come le passeggiate nei parchi, le gite, le visite ai musei.
Le aperture domenicale più che modificare le nostre abitudini di consumo non fanno altro che rafforzare nel consumatore la percezione che “l’andare per negozi” sia una vera e propria forma di svago, di conseguenza viene definitivamente meno l’automatismo per il quale l’ingresso nei negozi debba concludersi nella maggior parte dei casi un atto d’acquisto.
Qualcuno ha definito i centri commerciali le nuove piazze in città: non solo luoghi di acquisto ma, soprattutto di incontro. È realmente così? Le aperture nei giorni festivi hanno agevolato questo processo?
“La piazza rappresenta il luogo antropologico per eccellenza. Il luogo infatti è per sua natura storico, identitario e relazionale, come sostiene Marc Augè, nella sua celebre opera sui non luoghi.
Personalmente dubito che questi tre requisiti coesistano all’interno dei centri commerciali che al contrario si qualificano sempre più come ‘non luoghi’ per almeno tre ragioni: la prima è che queste strutture sono prive di quella dimensione identitaria che consente agli individui di riconoscersi in esse.
Le persone che li frequentano difficilmente possono ritrovare in essi riferimenti o simboli che mettano in risalto l’esperienza relazionale che accomuna i membri di una comunità o rappresentino un riferimento alla cultura locale.
Inoltre, malgrado gli sforzi fatti da architetti e designer per renderli sempre più originali e accoglienti, i centri commerciali sono attraversati da un’atmosfera impersonale data dal fatto che al loro interno è possibile ritrovare un’organizzazione spaziale e una presenza di servizi standard che li rendono omologabili.
Un turista Italiano in Spagna non avrebbe alcuna difficoltà ad orientarsi all’interno di un negozio della catena Zara, poiché la gestione degli spazi e la disposizione della merce è pressoché identica in qualsiasi parte del mondo”.
E poi?
In secondo luogo, i centri commerciali non rivestono alcun valore storico all’interno del contesto urbano in cui sorgono, in altri termini non rievocano una memoria storica attraverso la quale gli abitanti di un quartiere possano rafforzare le proprie tradizioni, la storia e la cultura locale, al contrario, il loro successo si basa sulla ricerca dell’innovazione e sulla capacità di guardare al futuro.
Infine, l’esperienza relazionale che di norma anima e connota le piazze o i punti di raduno dei centri abitati viene meno nei centri commerciali, perché ad assumere centralità li non sono le persone e i rapporti umani svincolati dall’atto del consumo, ma è la merce e la sua vetrinizzazione.
Così i centri commerciali, proprio come le stazioni o gli aereoporti diventano dei luoghi di transito all’interno dei quali la gente vi si reca con l’intento di fare altro: partire, tornare, acquistare o guardare le vetrine, ma non certo condividere un vissuto personale o esperienze collettive”.

Pubblicato il 29 gennaio 2010 - “Fonte: Il Domani Andriese” : http://www.domaniandriese.it/

Nessun commento:

Posta un commento